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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

Renzi strappa 10 miliardi a Merkel e Hollande

Un patto a tre tra Matteo Renzi, Angela Merkel e François Hollande. È questo il risultato politico del vertice che si è tenuto tra Ventotene e la portaerei Garibaldi. Un accordo che non riguarda tanto il futuro dell’Unione dopo la Brexit, quanto i dossier più spinosi che i leader europei dovranno affrontare nelle prossime settimane. Compresa la flessibilità sui conti chiesta dall’Italia per il 2017.
Un’intesa di mutuo sostegno, o di non belligeranza, dettata dalle necessità elettorali che incombono sui tre leader. Eppure da qui a novembre, quando Bruxelles dovrà esprimersi sulla legge di bilancio, non mancheranno scontri, polemiche e minacce. Come ogni anno.
Chi nel cuore della Garibaldi ha assistito al vertice, smaltito il clamore mediatico, racconta dunque che lunedì i leader di Italia, Francia e Germania hanno stretto un vero e proprio patto in vista del referendum italiano di novembre, delle elezioni francesi della prossima primavera e del voto tedesco dell’autunno 2017. Merkel non vuole scossoni a livello europeo, chiede che nessuno metta in discussione il Fiscal Compact e l’accordo con la Turchia sui migranti, fondamentale per il suo destino elettorale. In cambio si è impegnata a non mettere i bastoni tra le ruote all’Italia, che alla vigilia del referendum per dare un segnale di rilancio dell’economia chiede a Bruxelles di autorizzare una decina di miliardi di nuova flessibilità nella manovra. Hollande cerca progressi su sicurezza e lotta al terrorismo. D’altra parte a bordo della Garibaldi Merkel in conferenza stampa ha usato le stesse parole pronunciate lo scorso gennaio a Berlino, premessa del via libera Ue per il 2016 poi arrivato a giugno: «Il Patto di stabilità ha molti punti di flessibilità, spetta alla Commissione europea applicarla». È il segnale emerso in superficie del “patto di Ventotene”.
La palla dunque è ora nelle mani del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, che proprio in queste ore tramite canali riservati ha recapitato un messaggio rassicurante al governo: «Io e Renzi stiamo dalla stessa parte». Tutto risolto? Niente affatto, perché quest’anno la partita è più complessa degli anni addietro. Questa volta Bruxelles deve ribaltare la decisione presa dall’Ecofin, il tavolo dei ministri delle Finanze per il quale la flessibilità può essere concessa solo una volta. Compito non facile, visto che l’Ecofin è considerato il covo dei falchi, guidato dall’olandese Dijsselbloem e feudo del Finanzminister Wolfgang Schaeuble. Eppure tra Roma e Bruxelles un piano per portare a casa il risultato sta prendendo forma.
La Commissione può ribaltare la linea dei ministri. E questo è ciò che vuole fare Juncker, intenzionato a concedere all’Italia, così ha fatto sapere, «tutta la flessibilità pensabile». Juncker però è indebolito dalla Brexit e deve fare i conti con i falchi presenti nella sua stessa squadra, i vicepresidenti Dombrovskis e Katainen. Oltretutto fino a dicembre deve resistere alla fronda dell’ala destra del governo tedesco e dei paesi dell’Est che vogliono la sua testa alla scadenza di metà mandato. Ciononostante vuole mettere nero su bianco che con l’incertezza scatenata dalla Brexit, dal terrorismo e dal quadro globale la flessibilità può essere applicata per un tot di anni consecutivi per i paesi che ne hanno i requisiti, anche se questi potrebbero essere più stringenti. Il testo dovrà però passare dall’Ecofin per evitare una pericolosa faglia tra ministri e Commissione. Determinante sarà la posizione di Schaeuble, ma il ministro tedesco sarebbe preoccupato per le conseguenze sull’eurozona di una eventuale bocciatura del referendum italiano e per questo sulla manovra potrebbe ammorbidirsi. Due passaggi determinanti saranno l’Ecofin e il summit dei leader del 10 e 16 settembre a Bratislava.
Usando clausole esterne alla flessibilità – migranti e alcune novità di carattere tecnico (output gap) – Roma ha già ottenuto di poter abbassare il deficit nel 2017 dal 2,3 per cento all’1,8 per cento, anziché all’1,4 per cento. Ora vuole anche la flessibilità “classica”, quella per riforme e investimenti, in modo da lasciare il prossimo anno il deficit fermo al livello del 2016. Una decina di miliardi di ossigeno. Ma perché i tasselli vadano a posto è vitale che l’Italia si presenti con le carte in regola per convincere i partner e per rendere l’operazione elettoralmente gestibile per la Merkel, alle prese con gli euroscettici della Afd. Da qui la scelta di preparare una manovra votata a investimenti, competitività e concorrenza, temi popolari in Europa, e di completare le riforme fino al 2018.