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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

Aleppo è molto peggio di Srebrenica

Quando si osserva quel che sta accadendo ad Aleppo la memoriaci rimanda al luglio di ventuno anni fa allorché in quel di Srebrenica le truppe serbo bosniache guidate dal generale Mladic sterminarono migliaia di musulmani senza che i soldati olandesi delle Nazioni Unite riuscissero a impedirne l’eccidio. In Siria è lo stesso. Con la differenza che il numero degli uccisi è molto più grande e l’impotenza dell’Onu molto più evidente.
E sì che la Russia ha accettato la tregua di quarantotto ore finalizzata a un primo soccorso alla popolazione martoriata, povera gente che, secondo l’inviato speciale dell’Onu Staffan De Mistura, non riceve aiuti dal 30 aprile scorso; ma tarda a giungere il momento della pur minima sospensione del conflitto.
Già sappiamo che la sanguinosa estate di Aleppo verrà messa nel conto del dispotico regime di Assad il quale, secondo i rapporti di Amnesty International e delle stesse Nazioni Unite, si è ormai indelebilmente macchiato di ogni genere di nefandezza: uccisioni in massa nell’ordine delle centinaia di migliaia di esseri umani, distruzione di intere città, uso di gas, torture e stragi nelle carceri. Ciò che ha provocato un esodo di milioni di persone da quello sfortunato Paese.
E ppure siamo costretti a registrare che dall’inizio del conflitto (2011) o quantomeno da un’altra estate, quella del 2013 – nella quale il presidente americano rinunciò a intervenire in Siria nonostante l’esercito di Assad avesse manifestamente oltrepassato la «linea rossa» dell’uso di armi chimiche da Obama fissata come confine varcato il quale gli Stati Uniti sarebbero intervenuti militarmente a sostegno dei ribelli – a poco a poco l’Occidente ha modificato la propria considerazione del regime siriano. Soprattutto dopo che, nell’estate successiva (2014), è nato il Califfato islamico. E mentre lo stesso presidente statunitense rivelava di essersi pentito per aver dato luce verde all’intervento in Libia atto a disarcionare e uccidere Gheddafi, in Siria le potenze occidentali si sono viste costrette a «riabilitare» in qualche modo Assad. Sicché è stato come se avessimo ammesso che la nostra opzione ideale sarebbe stata di adottare in Libia gli stessi comportamenti: prima appoggiare disordinatamente i suoi oppositori per poi fare dietrofront così da poter delegare al dittatore di Tripoli la battaglia contro la deriva islamistica. Va aggiunto che abbiamo dovuto compiere questa «svolta» nella condizione più mortificante, cioè messi con le spalle al muro dall’iniziativa politica, diplomatica e militare di Vladimir Putin. Il 30 ottobre 2015 «fonti» del Congresso americano annunciarono che gli Stati Uniti avrebbero inviato in Siria una trentina di soldati «non per combattere, ma per addestrare, consigliare e assistere» i combattenti anti-Isis e aiutarli a riconquistare Ramadi nella provincia di Al Anbar. Il viceministro degli esteri russo, Sergei Ryabkov, ebbe così modo di cogliere in castagna quelle «fonti» ricordando che secondo il diritto internazionale nessun militare poteva entrare in territorio siriano senza averlo concordato con il regime di Assad. Già, Assad.
In una conferenza a Nancy (febbraio 2016) l’arcivescovo greco melkita cattolico di Aleppo Jean-Clément Jeanbart ha accusato la Conferenza episcopale francese di eccesso di correttezza politica «al cospetto di quel che realmente accade in Siria», di «aver paura di parlare», di essere restati in un «silenzio che, a volte, è segno di acquiescenza». E di «mancanza di obiettività» per quel poco che fino a quel momento la Conferenza aveva detto. Il presule non è stato affatto reticente sulle atrocità commesse dal regime di Damasco ma ha poi detto in termini assai chiari che «non si può rimanere sospesi tra lo Stato Islamico e il governo siriano». È scandaloso, ha aggiunto come l’Occidente abbia sostanzialmente coperto i «misfatti delle forze di opposizione». Nel caso specifico non si riferiva soltanto all’Isis ma anche alla fazione qaedista di Al Nusra che, pur avendo cambiato nome, funge da spina dorsale alle forze di liberazione anti Assad protagoniste, tra l’altro, della battaglia di Aleppo. Ed è qualcosa, questa presenza di una filiazione di Al Qaeda tra i «buoni», che per troppo tempo si è sottovalutata. Nei giorni scorsi, nei pressi di Sirte, i miliziani del generale Haftar (il quale evidentemente ha ancora un grande ruolo nella contesa libica) hanno catturato un importantissimo reclutatore dell’Isis, Moez Al Fezzani – nome di battaglia Abu Nassim, già operativo in Italia, in Pakistan, in Bosnia – che in Siria aveva combattuto con Al Nusra prima di dar vita, per conto del Califfato, al «Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento». Cambiano le sigle delle formazioni jihadiste ma i confini tra una e l’altra sono ancora assai labili e gli uomini spesso sono gli stessi.
Questo caos ha avuto come effetto una valanga di ripensamenti da parte di intellettuali non sospettabili di aver mai avuto cedimenti nei confronti del regime di Damasco. Michael Walzer è stato netto: «In Siria bisogna assolutamente evitare che l’Isis si espanda altrove; ci si deve alleare con la Russia nonostante i misfatti commessi in Ucraina». L’allieva di Lucàks, Agnes Heller, ha proposto un paragone storico: «L’islamismo è il nazismo contemporaneo e va combattuto allo stesso modo… Assad è un orribile dittatore ma contro questi terroristi accetterei anche lui. Contro Hitler, Churchill e Roosevelt si allearono con Stalin, eppure i gulag erano pieni». Esplicito Michael Ignatieff : «Assad deve rimanere al suo posto, almeno per ora. Ormai lo hanno capito tutti anche se non si può dire. Far cadere oggi Assad con metà territorio in mano agli jihadisti sarebbe un errore, il male peggiore». Ancora più esplicito Marek Halter: «Anche in Siria una volta sgominate le legioni dell’estremismo islamico, potremo sostenere una vera opposizione al regime di Damasco. Ma un’opposizione diversa da quella che ha ottenuto cinquecento milioni di dollari dall’amministrazione Usa con cui ha acquistato armi per donarne la metà alle brigate di Al Qaeda. Ogni cosa a suo tempo. Credo che per una volta abbia ragione Vladimir Putin: dobbiamo negoziare con Assad».
Aleppo è vittima di missili e bombe che vengono dal cielo e dalla terra. Ma del groviglio in cui è rimasta intrappolata, una parte rilevante è riconducibile alle incertezze e ai contorcimenti della nostra guerra allo jihadismo. O meglio: della risposta alla guerra che lo jihadismo ci ha dichiarato. Una risposta confusionaria al punto da non avere precedenti nella storia.