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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

Senza governo è meglio. L’esempio della Spagna

Otto mesi senza governo e non sentirli. Con un Pil in crescita costante, e la prospettiva di sfiorare il + 3% entro la fine dell’anno, non si direbbe che la Spagna sia senza un timoniere ormai dal mese di dicembre dell’anno scorso e senza alcuna garanzia di evitare le urne per la terza volta entro la fine di quest’anno. La disoccupazione è in calo ed è attualmente al 20%: non poca in assoluto, ma comunque è il miglior dato dall’estate di sei anni fa.
Mentre i partiti tradizionali, quello conservatore di Mariano Rajoy, ancora in testa quanto a preferenze, ma senza maggioranza, con l’opposizione socialista di Pedro Sánchez, e gli emergenti Ciudadanos e Podemos continuano a intralciarsi la strada a vicenda, il Paese sembra cavarsela perfettamente da solo, con un Consiglio dei ministri che può occuparsi giusto dell’amministrazione ordinaria.
Dopo lunghi e laboriosi negoziati, dopo aver tentato disperatamente di districarsi tra i veti incrociati di Albert Rivera (Ciudadanos), Sánchez (Psoe), Iglesias (Podemos) e da ultimo anche i nazionalisti baschi, Rajoy tenta di ottenere appoggio del Parlamento per il suo governo la settimana prossima o, in seconda battuta, il 25 settembre, dopo le elezioni regionali nei Paesi Baschi e in Galizia (la sua terra d’origine).
La vecchia guardia socialista, come Felipe Gonzalez (presidente del governo dal 1982 al 1996 e segretario del partito fino al 1997) e José Luis Rodriguez Zapatero (capo dell’esecutivo per sette anni, dal 2004 al 2011) si sono pronunciati nelle scorse settimane a favore di una tregua e di un’astensione dei deputati socialisti che aprirebbe a Rajoy la via della Moncloa, ma senza una reale maggioranza parlamentare. Forse, da navigati lupi di mare, hanno capito che gli spagnoli cominciano a non sentire più la mancanza del loro governo. Indipendentemente dal suo colore.