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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

Pronti per altre 15mila mail di Hillary Clinton?

«Le mie email? Sono così noiose: ne abbiamo già pubblicate 30.000, vabbé ne pubblicheremo altre 15.000», ha sdrammatizzato Hillary Clinton l’altra sera al talk show del comico Jimmy Kimmel. Ma le risate della candidata democratica alla Casa Bianca non cancellano il fatto che la vicenda nota come «emailgate» – ovvero il fatto che da Segretario di Stato ha usato un server privato per gestire anche la corrispondenza professionale – continua a danneggiarla. A questo problema se n’è aggiunto un altro: i dubbi etici sui finanziamenti giunti alla Fondazione Clinton da privati, corporation e governi stranieri.
Per quanto riguarda le email, l’Fbi ha concluso a luglio che il comportamento dell’ex Segretario di Stato è stato «estremamente negligente», ma ha deciso di non raccomandare la sua incriminazione non potendo provare che ha violato la legge ricevendo o inviando consapevolmente informazioni classificate. Nel dicembre 2014 Hillary ha già consegnato 55mila pagine, contenenti 30mila messaggi di posta elettronica, al dipartimento di Stato. A luglio, l’Fbi aveva affermato di aver scoperto altre «migliaia»di mail che non erano state consegnate, aggiungendo comunque che non credevano fossero state «intenzionalmente cancellate». Ora un giudice federale ha deciso che quelle email mancanti (14.900 per l’esattezza) dovranno essere rese pubbliche dal dipartimento di Stato entro metà ottobre. Il punto è che, se anche le autorità non dovessero trovare nulla di illegale, la disputa getterà un’ombra su Hillary fino alle elezioni di novembre. Pur essendo in testa nei sondaggi rispetto al rivale repubblicano Donald Trump (con il 47% contro il 41,5% dei consensi), l’attendibilità di Hillary può essere messa in discussione dai repubblicani. Trump ha invocato ieri l’intervento di un procuratore speciale nel caso, un po’ come accadde con Bill Clinton per Monica Lewinsky.
Nel frattempo, il gruppo conservatore Judicial Watch ha pubblicato centinaia di email di Huma Abedin, una delle assistenti più vicine alla candidata, che mostrano i legami a volte imbarazzanti tra la Fondazione Clinton, l’organizzazione umanitaria di famiglia, e il dipartimento di Stato. I messaggi includono una richiesta di Douglas Band, un funzionario della Fondazione, che Hillary incontrasse il principe ereditario del Bahrain, che aveva donato più di 50 mila dollari e che ha anche un programma con la Clinton Global Initiative per il valore di 32 milioni. Quell’incontro fu fissato nel giro di 48 ore, nonostante l’iniziale riluttanza di Hillary. Band si rivolse a Huma anche chiedendole di intervenire per aiutare un calciatore britannico con accuse penali a ottenere il visto in quanto legato al magnate dello sport Casey Wassermann che ha donato tra i 5 e i 10 milioni alla Fondazione, ma in quel caso l’assistente rispose che la richiesta la «rendeva nervosa», e la cosa non sarebbe andata oltre.
È possibile che i donatori abbiano avuto un accesso privilegiato a Hillary attraverso la Fondazione, ma al momento non ci sono prove di un «do ut des». Ma l’istituzione destinata a segnare l’eredità della coppia presidenziale, è diventata sempre più scomoda: oltre metà dei finanziatori sono governi stranieri, ha spiegato il Washington Post nei giorni scorsi, e nonostante Hillary abbia dichiarato che, se diventerà presidente, non accetterà più quel genere di fondi e Bill abbia spiegato che si dimetterà dal consiglio direttivo, tali rassicurazioni non sembrano bastare. Non mancano gli inviti a chiuderla per evitare il conflitto di interessi, per esempio in un recente editoriale del Boston Globe, che nota peraltro che ci sono altre organizzazioni filantropiche legate ai Clinton che dovrebbero seguire le stesse regole.