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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

Roma e il fuoco, da Vesta e Nerone in poi

Roma ha il fuoco nelle radici della sua storia millenaria, e non solo per le catastrofi. Le fiamme sono l’attestato stesso della sua fondazione, come spiega l’archeologo Andrea Carandini nel suo recente saggio Il fuoco sacro di Roma (Laterza): «Che il culto di Vesta al Foro sancisca la nascita della città-Stato e quindi di Roma è parere unanime degli studiosi. Senza fuoco pubblico non si fanno né città greche, né latine». Roma divenne una realtà politica quando il fuoco sacro cominciò perennemente ad ardere nel nome di Vesta. 
Altre fiamme, ben più pericolose, hanno devastato Roma nei secoli. L’incendio più famoso è quello scoppiato tra il 18 e il 19 luglio del 64 dopo Cristo. L’imperatore Nerone era nella sua villa di Anzio. Come ci racconta con precisione Tacito nei suoi Annali, le fiamme divamparono in quel lato del Circo Massimo al confine tra Palatino e Celio (nella cavea Bruce Springsteen ha radunato il 16 luglio scorso 60.000 spettatori). L’aria calda estiva, le merci in magazzino, il legno nelle strutture edili favorirono quella che sempre Tacito definisce «una catastrofe» durata nove giorni: 200 mila senza tetto, migliaia di morti, 3 delle 14 regioni (quartieri) rase al suolo, monumenti distrutti. Lo storico testimonia l’impegno di Nerone, rientrato di corsa a Roma: abbassò il prezzo del grano, organizzò baraccamenti per gli sfollati, fece arrivare viveri da fuori, aprì monumenti, tra cui il Pantheon, per accogliere feriti e senza casa. Ma secondo Tacito tutto questo non bastò a smentire le voci popolari che assicuravano di aver visto Nerone cantare della caduta di Troia di fronte all’incendio di Roma. Per distogliere l’attenzione, Nerone organizzò una feroce persecuzione dei cristiani, accusati di essere gli autori del disastro. Hollywood raccontò tutto a modo suo nel kolossal Quo Vadis del 1951, per la regia di Mervyn LeRoy, con un indimenticabile Peter Ustinov nel ruolo di uno stralunato, crudelissimo, corpulento Nerone. Molti altri incendi (213, 203 e 196 a.C.) devastarono il Foro Boario, non lontano dal Circo Massimo, sulla riva sinistra del Tevere dove oggi si trova l’Arco di Giano: era il grande mercato dei buoi, ma ricco anche di grandi empori, di un porto fluviale e di diversi templi.
Un ulteriore incendio, nel 69 dopo Cristo, devastò il simbolico Tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio durante la guerra civile romana, negli scontri tra i sostenitori di Vespasiano e di Vitellio. Pochi anni dopo, nell’80, altro incendio, stavolta sotto Tito. Non ci furono accuse all’imperato-re, ma fu un’altra catastrofe. Cassio Dione racconta che «bruciò il tempio di Iside, i Saepta, il tempio di Nettuno, le terme di Agrippa, il Pantheon, il Diribitorium, il teatro di Balbo, il palco del teatro di Pompeo, gli edifici e le biblioteche di Ottaviano, e il tempio di Giove Capitolino con i templi circostanti». Il successore di Tito, Domiziano, ricostruì gran parte di ciò che era stato distrutto.
L’ultimo grande incendio nella Roma dei Cesari risale al 283, sotto Marco Aurelio Carino: devasta la città dalle pendici del Campidoglio fino alla sommità della via Sacra, l’intera area del Foro Romano. Infine l’incendio del 410, col sacco di Roma dei Visigoti di Alarico. Una devastazione, ma comunque inferiore – il giudizio è dello storico e apologeta Paolo Orosio – a ciò che avvenne sotto Nerone.