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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

Storia millenaria dell’anestesia

Se la storia della chirurgia è vecchia di millenni, quella dell’anestesia ha solo 170 anni. In mezzo c’è la ricerca di tecniche e rimedi contro il dolore, segnale d’allarme e prezioso alleato nella diagnosi, ma anche potente ostacolo negli interventi operatori, che provocavano spesso stati di shock. Il primo intervento chirurgico senza dolore, «without pain» – come scriveva il  Boston Evening Journal nell’annunciare il sensazionale evento – ebbe luogo infatti il 16 ottobre 1846. L’immagine, famosa, che rappresenta la scena, «racconta» lo stupore dei clinici che circondano il paziente placidamente addormentato, a cui era stato appena estirpato un tumore al collo. 
Tra i presenti c’era il dentista William Thomas Morton, che aveva sollecitato l’esperimento, dopo aver fatto una prova con l’estrazione di un dente, facendo respirare al paziente l’etere contenuto in una spugna dentro una sfera di vetro, munita di una via d’ingresso e una di uscita. La vulgata dice che il chirurgo, con le lacrime agli occhi, si voltò verso i presenti, esclamando: «Signori non c’è nessun imbroglio». Era una tappa fondamentale nella lotta contro il dolore operatorio, parte integrante della scena cruenta degli interventi chirurgici, su cui incombevano i pericoli mortali di infezioni e il rischio di emorragie. 
La storia
I tentativi di dominarlo attraversano i millenni. Il repertorio comprende tecniche e sostanze: l’estratto di papavero (oppio), la compressione delle carotidi per indurre uno stato di coma transitorio durante interventi di piccola chirurgia, gli impacchi di ghiaccio e neve sulla parte da operare, gli impacchi di spirito di vino. Nel Medioevo la famosa Scuola salernitana perfeziona la cosiddetta «spongia somnifera» o «spugna soporifera», composta di oppio, giusquiamo e mandragola, macinati e macerati in acqua. «Quando tu voglia suturare o incidere un uomo – raccomandava Michele Scoto – bagna uno straccio con quella sostanza e applicalo sulle sue narici per un po’ di tempo». Tuttavia l’uso delle «spugne», così come quello dei clisteri narcotici, fu presto abbandonato, anche a causa degli errori nel dosaggio delle droghe vegetali (succo di papavero, estratti di solanacee). 
Dal Medioevo al primo ’800 la ricerca di tecniche e farmaci efficaci fece ben pochi progressi. In realtà, l’ebbrezza provocata da bevande alcooliche – un’analgesia poco profonda e di breve durata – era quasi l’unica arma in mano ai chirurghi, cui era richiesta destrezza e rapidità nel muovere i ferri per evitare dolori al paziente e limitare i contorcimenti e le reazioni riflesse. Pochi riuscivano a resistere, come il musicista-patriota Piero Maroncelli, sottoposto nella tetra fortezza dello Spielberg alla dolorosa amputazione di una gamba, nel 1828. Nel libro Le mie prigioni Silvio Pellico racconta che «non emise un grido», mentre il chirurgo procedeva all’intervento: «Al di sopra del ginocchio, dove la coscia cominciava ad esser sana, fu stretto un legaccio, segno del giro che dovea fare il coltello. Il vecchio chirurgo tagliò, tutto intorno, la profondità di un dito; poi tirò in su la pelle tagliata, e continuò il taglio sui muscoli scorticati. Il sangue fluiva a torrenti dalle arterie, ma queste vennero tosto legate con filo di seta. Per ultimo si segò l’osso». 
Gli ostacoli
E, tuttavia, dopo il 1846, la strada degli anestetici – dal protossido d’azoto, all’etere, al cloroformio – non è tutta in discesa e per molte ragioni. Il protossido d’azoto, scoperto nel 1772, deve attendere decenni prima che le proprietà anestetiche vengano dimostrate da un dentista inglese, il dott. Horace Wells che morirà suicida nel 1848, senza assistere al trionfo di quell’anestetico nella chirurgia odontoiatrica. E alla liberazione dal tormento del dolore delle estrazioni dentarie, praticate per secoli da barbieri. L’etere aveva molti limiti: era altamente infiammabile, e tendeva a provocare il vomito nei pazienti. Il cloroformio, destinato a sostituirlo come anestetico, incontrò resistenze e pregiudizi, come tante altre scoperte della medicina – prima tra tutte la vaccinazione. Il dibattito infuocato sugli aspetti medici ed etici del controllo del dolore coinvolse anche «i non addetti ai lavori». Pochi lo consideravano come un dono di Dio. I teologi, fautori della predestinazione, lo contestavano e così pure i promotori di forme ascetiche di perfezione Alcuni temevano che l’assenza del dolore provocasse degli inconvenienti funzionali e psicologici: persisteva, infatti, da una parte, l’associazione mentale insensibilità – morte; dall’altro quella dolore- cura-guarigione. 
Particolarmente avversato da teologi e tradizionalisti di varia ispirazione, era l’uso degli anestetici nel parto, contro i quali si invocava la maledizione biblica «tu donna, partorirai con dolore». Solo a metà ’800, le cose cominciarono a cambiare. A dare un contributo importante la regina Vittoria, che, nell’aprile 1853, ricorse al cloroformio all’ottavo parto, consigliata dal marito, Alberto, cultore delle scienze e presidente del Royal College of Chemistry. La benedizione della regina fece tacere le critiche. Era iniziata la moderna anestesia.