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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

Storia dell’Altra Domenica e di una rivoluzione che travolse la Rai. Era il 1976

Il 1976 è l’anno dell’altra Rai e dell’Altra domenica di Renzo Arbore. Ma il 1976 è pure l’ultimo anno in cui la scuola comincia il primo ottobre, giorno di san Remigio. In Friuli c’è il terremoto e a Seveso il disastro della nube tossica alla diossina. Il procuratore di Genova Francesco Coco viene ucciso dalle Brigate Rosse, muoiono Mao e Agatha Christie, nascono gli U2, Steve Jobs e Steve Wozniack fondano la Apple, Eugenio Scalfari il quotidiano La Repubblica. Il Torino vince lo scudetto dopo 27 anni e Montréal ospita le Olimpiadi. Presidente del Senato è Pietro Ingrao, della Camera Amintore Fanfani, Tina Anselmi è il primo ministro donna. L’Oscar per il miglior film va a Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman e la Corte di Cassazione condanna Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci alla distruzione per fuoco. È come se la storia si sdoppiasse, Giano bifronte, un dio incerto che non sa se guardare al futuro o al passato. 
Ma la Rai dell’epoca, proprio la Rai, appare salda nella volontà di cambiare, svecchiare, stupire. Il 1975 è stato l’anno della riforma, non è più il governo ma il parlamento a controllare il servizio pubblico, nasce quella che Alberto Ronchey definisce «lottizzazione», la prima rete alla Dc, la seconda al Psi, la terza al Pci. Divisione politica chiara. Che si traduce in concorrenza creativa e progettuale. Lì, nella terra feconda dell’invenzione, il 26 marzo piomba Renzo Arbore, reduce dal successo radiofonico di Alto gradimento. Insieme con Ugo Porcelli, realizza per Raidue L’altra domenica, che si contrappone baldanzosamente alla Domenica in di Corrado, anch’essa nata nel 1976, dedicata alle famiglie e alla tradizione di Raiuno. 
Nasce l’«arborismo»Nasce ufficialmente l’«arborismo», insieme di professionalità e goliardia, creatività e mestiere. Ed è proprio la Raidue diretta da Massimo Fichera, catanese, socialista, grande conoscitore del mezzo televisivo, la rete incaricata di far scoppiare una vera rivoluzione, spregiudicata e popolare, che precede quella culturale cui sarebbe approdato Angelo Guglielmi su Raitre, qualche tempo dopo. 
Non innova solo Arbore, ma anche Giovanni Minoli con il suo Mixere le interviste «Faccia a faccia»; Andrea Barbato che dirige il Tg2, con Piero Angela, Mario Pastore e Italo Moretti che diventano anchormene già conducono personalizzando, come poi avrebbe fatto Mentana. Torna, sempre sulla seconda rete, Dario Fo allontanato dalla Rai nel 1962, durante una contestata edizione di Canzonissima; nascono Ring di Aldo Falivena, uno dei primi talkshow italiani, e Odeon di Brando Giordani e Emilio Ravel, mitico rotocalco di spettacolo, quello che insegna Scott Joplin e il ragtime al pubblico della canzonetta. Senza dimenticare Enzo Tortora e Portobello, seguito anche da 20 milioni di spettatori, programma fondamentale per una buona parte della televisione successiva.In questo scoppiettio di energie e di ricerca, in questa volontà di conquistare gli spettatori che non guardano la tele e di piacere ai giovani, Fichera chiama Arbore: la Domenica in di Corrado è un programma tradizionale ma nello stesso tempo innovativo, perché un contenitore così imponente non si era mai visto. Bisogna sparigliare. Serve una trasmissione dirompente. Arriva Arbore e fa l’Arbore: mescola, irride, contamina. Manda Gianni Minà, Milly Carlucci, Silvia Annichiarico, Patrizia Schisa, Stella Pende, Fiorella Gentile, in giro per l’Italia a raccontare sagre e feste paesane. Una squadra di belle ragazze che realizzano impeccabili servizi giornalistici. «Era la prima volta – ricorda Arbore – che si vedevano vere donne parlanti. Prima in tv c’erano soltanto vallette». Rinforza Carlucci: «Per avere successo servono magie, come quella che mi accadde quando Arbore mi chiamò per L’altra domenica».Uno sguardo sul mondo Attraverso le sagre si scopre l’Italia, ma nello stesso tempo si guarda il mondo: con tre corrispondenti, Isabella Rossellini da New York, Françoise Rivière da Parigi, Michel Pergolani da Londra. E poi Roberto Benigni, che fa il critico cinematografico, irridente e irriverente come ci possiamo immaginare Benigni a vent’anni. E Andy Luotto, con il suo umorismo muto alla Buster Keaton; e Mario Marenco, architetto e umorista strampalato, che si inventa il personaggio del cronista Mister Ramengo, con le cronache grottesche e il continuo richiamo «Carmine!». E Maurizio Barendson che segue lo sport. E i primi quiz da casa, in diretta, sempre inventati con Ugo Porcelli: L’altra domenicatiene a battesimo il telefono messo a disposizione del pubblico: dopo la prima parolaccia, tutto fila liscio. E le Sorelle Bandiera che cantano la sigla: alla Rai del 1976, un gruppo en travesti, al di là di ogni idea di innovazione e trasgressione. Eppure accade.
Nessun dirigente voleva sapere prima che cosa facevate? Risponde Arbore: «Andavamo in diretta e improvvisavamo, come sempre avrei fatto anche nei programmi successivi. Nessuno ci chiedeva niente, no, bastava il successo che avevamo. Andava bene questa nostra irriverenza assolutamente inedita». E adesso? «Siamo tornati indietro. Non c’è nessuna volontà di cercare talenti, di sorprendere. Quando Berlusconi si prese Baudo, la Carrà e la Bonaccorti, Biagio Agnes, grande direttore generale della Rai, si inventò Celentano conduttore. Che dire: non ci sono più autori, ma solo scalettatori».