Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

L’ultimo verduraio al mercato di Venezia chiude il banchetto

Trentacinque clienti in dieci ore di lavoro.Tutto è cambiato intorno a noi. Ha chiuso la libreria, si è arreso anche il fornaio. Vorresti tenere duro, ma a un certo punto capisci che se vuoi sopravvivere devi cambiare anche tu. O ti accoppi o cambi». E allora dai, slega il nodo «soraman», arrotola la tela verde del tendone per l’ultima volta. Tira giù i tre pali che erano l’impalcatura del banco. L’ultimo negozio di frutta e verdura di Venezia fatto con le regole antiche, più forte tira il vento più il nodo si stringe, chiude. 
Dove Yoko Ono veniva a comprare una banana e Susanna Agnelli era di casa, adesso arriva trafelata la signora Claudia Zanchi con un abbraccio da recapitare: «Eravate adorabili, voglio dirvelo. Portavate la spesa a casa della signora Renata che non può camminare. Mancherete a tutti, Mirco e Patrizia. Questa vostra decisione è l’ennesima pessima notizia per Venezia». Mirco e Patrizia Puziol sgomberano la cassa di fagiolini dell’estuario, i pomodori di Cavallino-Treporti, le insalate che non vuole più nessuno: «Perché al supermercato qui dietro te le vendono nelle buste già pronte, anche se poi c’è scritto che dovresti lavarle lo stesso». Cassetta dopo cassetta. Generazione dopo generazione. È un mondo al passo d’addio. 
«Sveglia alle 4. Al mercato alle 4,40. Per montare la tenda ci vogliono 45 minuti, un’ora per fare una bella mostra e mettere i prezzi. Abbiamo lavorato mattina e pomeriggio da quando siamo nati, prima c’era mio padre, prima ancora mio nonno. Io e mia sorella ci siamo resi conto però che, all’eta di 54 e 55 anni, non saremmo mai arrivati alla pensione. Adesso ci concediamo qualche giorno di riposo. Magari andiamo a fare i fanghi, oppure un viaggio. Non ne abbiamo mai fatti. Poi ci inventeremo una vita nuova». 
In campo Santa Margherita restano due banchi. Non è colpa del bengalese Rakin Bhuiyan se il suo, che vende maschere di carnevale, funziona anche ad agosto: «Sono fabbricate in Cina. Quelle piccole le pago 1 e 50 e le rivendo a 4 euro. Sono qui da undici anni, in regola e felice. Il Bangladesh è un posto pieno di problemi. Questa invece è Venezia». I motoscafi si infilano in coda sotto il ponte dell’Accademia. I fidanzati mettono i piedi a bagno nella laguna sporca. Di notte piazza San Marco è sorvolata da giochi luminosi lanciati in aria con gli elastici, mentre i violini si sfidano dai dehors dei bar contrapposti. 25 milioni di turisti nel 2015, stanno avvicinandosi quest’anno alla soglia dei 30 milioni. Una media di 80 mila visitatori al giorno. Però i veneziani stanno scomparendo. 
C’è un posto dove si può verificare la trasformazione. È la farmacia di Campo San Bartolomio gestita da Andrea Morelli. In vetrina c’è il «conta persone», come lo chiamano. Conta i residenti aggiornati in tempo reale dal Comune: oggi 55.065. Erano 65 mila nel 2011, 76 mila nel 1991, 174 mila nel 1951. Venezia si spopola, pur non essendo mai stata così affollata. Chiudono i negozi tradizionali a scapito delle grandi catene. «È un po’ il destino del mondo – dice il farmacista Morelli – non ci sono più fabbri, artigiani, bottegai. Ma ovunque gli stessi negozi e odori seriali. Vivere qui ormai costa una fortuna. Ma non possiamo parlare male dei turisti. Per l’Italia sono l’equivalente del petrolio. Dobbiamo trattarli meglio, smettere di avere una mentalità da rapina. E in cambio, dobbiamo chiedere maggior rispetto per la città. C’è così tanta gente per le calli, che gli scippatori entrano in azione come sui pullman nell’ora di punta. Servono più controlli agli ingressi. Ci vuole più cura da parte di tutti». I ragazzi veneziani hanno organizzato una manifestazione dal titolo «Ocio ae gambe, che go el careo!». Andare a Rialto a fare la spesa con i carrelli, questa è l’idea: provare a vivere una vita normale. 
Ma anche alle sette di sera è difficile attraversare il ponte di Rialto. Senti parlare in tutte le lingue del mondo. Venezia mette ancora in scena la sua bellezza unica. Scendi dal ponte e giri a destra verso Dorsoduro, cammini fra i nuovi locali della movida per arrivare in campo Santa Margherita. Cala l’ultimo tramonto sulle tende verdi del «soraman». «Ti mor, se stai fermo», ripete a tutti il verduriere Mirco Puziol. Un ragazzo dice: «Dai, non abbiamo fatto neanche una bevuta insieme». «Altroché una bevuta, un funerale dovevamo fare» ride lui. Lo vedi con la sorella Patrizia ritirare la roba invenduta dentro al magazzino, via le cime, il tendone, la foto in bianconero del padre Giuliano e della madre Paola mentre tagliano fondi di carciofi. È stato bello, è ora di andare.