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 2016  agosto 23 Martedì calendario

Bilancio dei primi due mesi di Chiara Appendino sindaco

La simpatia per i vegani, gli incentivi in busta paga per chi andrà al lavoro in bici, i tagli dello staff, dei relativi stipendi. E l’impresa come riferimento. Il doppio binario di Chiara Appendino a due mesi dal voto che l’ha portata sulla poltrona di sindaco di Torino. Giudizi lusinghieri sul primo cittadino a Cinque Stelle. Niente a che vedere con Roma e il tribolato esordio di Virginia Raggi. Torino non conosce le emergenze che agitano la Capitale.
Se fosse un refrain suonerebbe così: «Torino non è Roma / Chiara non è Virginia». Sono passati due mesi dal voto delle Amministrative che ha portato Chiara Appendino sulla poltrona di sindaco della città e i giudizi sull’operato del primo cittadino a Cinque Stelle sono lusinghieri. Appena velati dalla cautela, necessaria in questi casi. Niente, dunque, a che vedere con Roma e con il tribolatissimo esordio di Virginia Raggi. Le differenze sono enormi: Torino non conosce le emergenze che agitano la Capitale (rifiuti in primis), la battaglia politica è meno aspra, ma c’è anche un dato politico-sociologico che ripetono un po’ tutti. «Chiara non è un’aliena, è una figlia della borghesia imprenditoriale».
Il doppio binario
Come si sa, infatti, il padre Domenico è vicepresidente di Prima Industrie, una delle aziende-vetrina del territorio, la stessa neosindaca ha lavorato come revisore dei conti alla Juventus degli Agnelli e quindi non siamo alla staffetta sociale ma quasi a un’alternanza tra due segmenti di classe dirigente. È presto per dire se i fatti confermeranno queste sensazioni ma intanto Appendino ha adottato la tattica del doppio binario. Sul primo viaggiano le sortite simboliche indirizzate a tranquillizzare l’elettorato grillino come l’impegno del Comune a sostenere la dieta vegana, gli incentivi in busta paga per chi andrà a lavorare in bici e soprattutto i tagli dello staff e dei relativi stipendi. Sul secondo (binario) ci sono le scelte che contano agli occhi dell’imprenditoria torinese, ovvero la sostanziale continuità sulla Tav, la conferma degli impegni per la Città della Salute e la priorità assegnata all’attrazione di investimenti. E del resto se in Consiglio siedono iscritti e attivisti di Grillo, in giunta non ce ne sono.
La transizione
Spiega Licia Mattioli, presidente dell’Unione industriali e vice di Boccia nella presidenza nazionale: «Mi pare che le esagerazioni della campagna elettorale siano state messe da parte e prevalga un atteggiamento pragmatico. Nulla è stato bloccato. Ho incontrato il nuovo sindaco e abbiamo concordato su quali siano le priorità per una città ancora legata profondamente al manifatturiero. Come sempre bisogna aspettare i fatti ma non ho remore a dire che lavoreremo assieme». Torino, del resto, sta vivendo una fase di delicata transizione. Dopo i lunghi anni della company town dell’auto è iniziato con le Olimpiadi un ciclo che doveva correggere il modello di sviluppo Fiat-centrico e sostituire il calo del Pil dell’industria con un terziario moderno. Una fase gestita dall’alleanza stretta tra i migliori dirigenti del Pd e i manager che venivano dalla Fiat. Quale sia il giudizio definitivo su questi anni, si ha la sensazione che il quadro sia cambiato e quel modello segni il passo. Lo sostiene a gran voce Giuseppe Berta, storico e coscienza critica della città: «Torino ha bisogno di individuare una traiettoria di sviluppo che oggi non c’è. Le trasformazioni strutturali di questi anni lo richiedono, si scopre infatti che l’azienda autoctona più grande è la Lavazza ma il capitalismo leggero del made in Italy enogastronomico non è una risposta né alla crisi di Torino né del Paese». L’attenzione allo sviluppo segna anche il commento di Marco Gay, torinese e presidente nazionale dei Giovani imprenditori di Confindustria: «Nei primi 50 giorni non ho ancora capito bene che direzione prenderà la nuova amministrazione ma sia per una questione di solidarietà generazionale sia perché c’è bisogno di visione spero proprio che Appendino ci stupisca. E una cartina di tornasole sarà rappresentata sicuramente dalla sistemazione dell’area di Mirafiori». Il favore con il quale la-città-che-conta guarda al nuovo sindaco è così ampio che persino una persona prudentissima come Gabriele Galateri, seppur in privato, spende parole di speranza.
L’era Fassino e l’arrivo dei 5 Stelle
Ma davvero a Torino è tutto fermo? L’ex sindaco Piero Fassino a fine luglio, davanti all’annuncio che Amazon aprirà sotto la Mole un centro di ricerca sull’intelligenza artificiale, ha avuto buon gioco a sostenere «che Torino non somiglia proprio a Calcutta». E il paragone con la città indiana è stato un leitmotiv della campagna dei Cinque Stelle che ha sicuramente bucato l’attenzione. Lo stesso Berta sostiene che il paragone è giustificato da sacche di impoverimento che si possono rintracciare in una città «dove redditi e tenore di vita stanno crollando». Enrica Valfrè, segretaria della Cgil, teme infatti che la sindaca guardi all’impresa ma non al welfare e al lavoro in un contesto in cui di soldi ne girano pochi. «Poi la stessa composizione della giunta composta da persone con storie e competenze diverse mi fa pensare che non avremo provvedimenti omogenei». Ergo in una città come Torino, dove economia e politica sono più vicine che altrove, per Appendino rispondere solo con una corretta amministrazione potrebbe non bastare. In più verrà al pettine un nodo delicato: il Comune ha competenze e voce in capitolo per nominare i vertici delle fondazioni bancarie e delle utility e la prima mossa della sindaca, che puntava ad azzerare i vertici della Compagnia di San Paolo, si è rivelata quantomeno avventata.
P.s. A giocare a favore dei Cinque Stelle c’è la confusione in casa Pd. Il governatore Sergio Chiamparino ha chiamato la sindaca alla piena collaborazione tra istituzioni (e la cosa sta funzionando), al partito quest’asse non è piaciuto e il quotidiano La Stampa ha sentenziato: «Il Pd fa un’opposizione infantile».