Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 22 Lunedì calendario

E quindi, come sono andate queste Olimpiadi?

Alla fine anche Thomas Bach, il presidente del Comitato olimpico internazionale, che alla vigilia dei Giochi aveva sparato a zero contro il Brasile, per i ritardi negli impianti e la disorganizzazione, ha assolto i carioca. «Certo che rifarei le Olimpiadi a Rio», ha detto, «il risultato è molto positivo, un evento storico». Insomma, tornando con la mente alle previsioni della vigilia, fra i tagli al bilancio, i timori per la criminalità, la recessione e Zika, per le prime Olimpiadi in Sudamerica poteva anche andare peggio. E solo vivendo in diretta l’altro ieri la bolgia del Macaranã, con centomila brasiliani tutti rigorosamente in divisa, con la maglietta verde-oro della nazionale di calcio, era possibile comprendere quanto davvero ci tenessero, come cantano loro «con molto amore e molto orgoglio» a questi Giochi per prendersi la rivincita. I mass media brasiliani, giornali e tv, per la finale del calcio hanno spedito inviati a Berlino, dove quasi nessun tifoso s’è interessato a questa partita minore. Loro invece hanno ululato, ballato e pianto, insieme a Neymar, come se fossero riusciti a esorcizzare tutti i fantasmi. Non solo quelli del 7-1 di due anni fa.
Grazie all’adorato “futebol” si sono dimenticati anche di altri obiettivi, più difficili da raggiungere. Come quello di arrivare tra le prime dieci nazionali per medaglie vinte, che sono invece diciannove (sette ori) e valgono il tredicesimo posto finale. Ma, più importante, quello che davvero hanno messo in evidenza i Giochi è il complicato futuro della metropoli carioca. Diseguaglianze secolari irrisolte e neppure affrontate, il traffico infernale, i servizi pubblici assenti, l’ambiente sempre più maltrattato e contaminato. Tutte emergenze che, se non verranno affrontate, renderanno nei prossimi anni sempre meno “maravilhosa” questa città. Come dimenticare, infatti, che il sindaco Edoardo Paes, pregò all’inizio delle Olimpiadi i suoi concittadini di non uscire di casa in auto, o di farlo il meno possibile, per non creare maggiori problemi di viabilità? Lo stesso sindaco ieri ha elogiato «la capacità di reazione» dei carioca di fronte alle difficoltà. Paes ha detto che Rio esce dai Giochi migliore di come c’è arrivata e che non ci saranno cattedrali nel deserto (qui dicono “elefanti bianchi”) perché tutte le nuove infrastrutture costruite verranno trasformate e riutilizzate. Lo stadio di pallamano, per esempio, diventerà una scuola. Mentre la nuova linea della metropolitana, che attraversa Ipanema e raggiunge Barra da Tijuca, e la ristrutturazione del vecchio centro, nella zona portuale, sono gioielli portati in dono dall’avventura olimpica. Non solo, dice il sindaco, molte strutture sono state realizzate con finanziamenti privati, pochi soldi dalle casse già malandate dello Stato.
Un bilancio in chiaroscuro. Vista la collera degli 80 mila volontari per il caos, molti di loro hanno denunciato che non sapevano neppure dove dovessero andare o cosa dovessero fare. E quella delle squadre olimpiche per i furti. Al villaggio degli atleti, nelle loro stanze, ce ne sono stati un centinaio. Cellulari, profumi, rasoi elettrici, tute. I neozelandesi hanno deciso di rinunciare agli addetti alle pulizie delle stanze e se lo sono fatte da soli. Poi alcuni stadi semivuoti, la vendita di molti biglietti in meno del previsto, e anche meno turisti attirati dall’avvenimento. Però, per i brasiliani, insieme alla rivincita nel calcio, c’è stata anche un’altra rivincita, quella sugli States. Ci sono voluti Ryan Lochte e le sue bravate per dimostrare al mondo che questo Paese, e forse ormai nessuno in America Latina, non è più un cortile di casa di Washington. Dove con un passaporto a stelle e strisce puoi fare quello che vuoi e tornare a casa senza pagare prezzi. Repubbliche delle banane addio, finalmente.
L’Olimpiade, quella che l’ex presidente Lula rivendica affermando – ed è vero che senza di lui non ci sarebbe stata, è sbarcata in Brasile in uno dei peggiori momenti della sua storia recente. La scrittrice e regista Eliane Blum sostiene che il suo paese oggi non ha un volto. Nei primi anni di questo secolo c’era l’idea che si potesse conciliare l’inconciliabile. Oggi tra depressione, disoccupazione e corruzione, il Paese è polarizzato e ciò che non si riconcilia, come l’estrema povertà e l’estrema ricchezza, può solo aumentare il caos. Tra una settimana Dilma Rousseff sarà definitivamente allontanata dalla presidenza e il protagonista del golpe istituzionale, quel Michel Temer che ha fatto un governo di soli bianchi, assumerà tutto il potere. Ma questo c’entra poco con lo sport e forse l’unica lezione che possiamo trarre è che le Olimpiadi possono anche essere “povere”: non solo Londra o Tokyo. Anche una città dei paesi emergenti, nonostante facciano tanta fatica a emergere.