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 2016  agosto 22 Lunedì calendario

Il Meeting di Rimini, la politica e la colpa delle chiese vuote. Intervista a Giorgio Vittadini, il presidente di Cl

Presidente Vittadini, per una volta il Meeting di Comunione e Liberazione ha un titolo secco e dichiaratamente politico, “Tu sei un bene per me”...
«Politico? Il rapporto con gli altri non è questione politica ma dell’uomo in quanto tale: l’altro è un’occasione per la nostra crescita, non un ostacolo».
È diffusa l’idea che il Meeting voglia tenere a battesimo un Nazareno bis…
«È riduttivo pensare che l’orizzonte che interessa le persone sia confinato a chi li governa. Le confesso che Comunione e Liberazione ha orizzonti più ampi della politica».
Ma da sempre Rimini è un appuntamento politico, o sbaglio?
«Chi frequenta il Meeting sa bene che la politica è solo uno dei temi di cui si parla. E comunque la politica, non le querelle partitiche. Il cuore politico della manifestazione è la mostra “L’incontro con l’altro: genio della Repubblica”, dove si ripercorre la storia italiana dal 1946 a oggi e si dimostra che i passi avanti più importanti si sono avuti quando governo e opposizione, senza insultarsi ma anzi legittimandosi a vicenda, hanno operato insieme per il bene del Paese».
Il passato non torna: cosa si augura oggi?
«Mi piacciono leader come lo spagnolo Rajoy, garbatamente all’opposizione per otto anni a lavorare sul suo programma di governo. O come la Merkel quando, avendo vinto di poco le elezioni, non si è preoccupata di comprare qualche deputato socialista ma si è accordata con l’Spd per la grande coalizione. Mi auspico che il premier Renzi collabori con tutte le forze politiche per tirare fuori l’Italia da questa fase».
Ma all’Italia le grandi coalizioni non portano bene: voi proprio al Meeting avete incoronato Monti, un disastro, e anche Letta…
«Non abbiamo incoronato nessuno. Noi tentiamo da sempre di dialogare con le istituzioni».
Infatti vi accusano di essere sempre filogovernativi…
«Il Paese è ancora in una crisi gravissima e non si sa dove andrà a finire. La priorità per noi è dare un contributo costruttivo per il bene di tutti. Non entare nelle beghe della politica non significa essere filogovernativi. Il nostro assetto sociale oggi è malato. Bisogna ricordare l’apologo di Menenio Agrippa, secondo cui se anche un solo organo non svolge la sua funzione in sintonia con gli altri, il corpo intero perisce».
È mutata la natura di CL: da battagliera a ecumenica?
«Quello che ho appena detto è l’opposto di quello che si fa in politica oggi. È scomodo. Viviamo ancora l’epoca della delegittimazione dell’avversario e dell’uomo solo al comando».
Mi sta dicendo che Renzi è ancora Seconda Repubblica?
«E che cosa sarebbe, già Terza? Tutta la Seconda Repubblica si fonda sull’uomo solo al comando: Berlusconi, Monti, Renzi. Ed è un errore, perché nessuno da solo può guidare un Paese, questo genera errori».
Per esempio quali?
«Quello di buttare via il bambino con l’acqua sporca, come con le banche popolari, con le cooperative, con i sindacati. Gli errori si correggono, non si azzera chi li commette. Indebolire i corpi intermedi è un errore perché sono fondamentali per la vita delle persone e di tutto il Paese».
Il suo punto di riferimento in politica?
«Lo era Napolitano, lo è oggi Mattarella. Serve un arbitro che giudichi, un presidente che si ponga al di sopra della mischia».
Veramente l’arbitro Napolitano la partita l’ha giocata, ha cacciato lui Berlusconi…
«Berlusconi è caduto per aver fallito la rivoluzione liberale che aveva promesso e per la quale anche io l’avevo votato. Non ha abbassato le tasse e ha fatto la scuola più statalista del Dopoguerra. Quanto a Napolitano, ha sempre agito convinto di operare per il bene comune, voleva difendere la baracca, l’Italia era sotto attacco».
E ci ha regalato Monti, che ha governato più per l’Europa che per gli italiani…
«Il fallimento del progetto europeo inizia quando l’Europa ha rinunciato ai propri ideali, quelli che avevano consentito a persone i cui padri fino a dieci anni prima si erano ammazzati in guerra di sedersi a un tavolo per costruire insieme il futuro».
Cos’è diventata oggi l’Europa?
«È tornata all’Ottocento, con gli Stati nazione. Il nostro slogan delle elezioni europee del 1985 era “un’Europa dei popoli e non degli Stati”, ma al momento la battaglia è stata persa. L’Europa oggi è governata da una casta senza ideali, conta solo il denaro. È diventato solo un grande condominio dove non si condivide nulla».
Quindi giustifica la nascita e il successo delle forze politiche anti-europeiste?
«Assolutamente no. Però, se smetti di parlare alle persone, se non ti sforzi di essere in contatto con i loro bisogni, ti abbandonano. Vale per tutti i campi della vita e anche per la politica».
Intravede segnali positivi?
«La grande novità per me è stato lo scontro a Milano tra Parisi e Sala: per tre mesi si è parlato civilmente di Milano e di programmi, questa è la politica che piace alla gente».
Parisi sarà il leader del centrodestra?
«Questo non sta a me deciderlo, certo è un uomo del dialogo. Aggrega. Comunque tutto dipenderà dal suo programma di governo, gli accordi si fanno su quello».
Ma Parisi ha il problema della Lega che non lo apprezza…
«La Lega non è solo Salvini, di cui non condivido per niente la linea lepenista. Alcuni temi della Lega, come la battaglia per il federalismo, sono invece condivisibili».
Quale dovrebbe essere il programma del centrodestra?
«Il programma di un buon governo, di destra o di sinistra che sia, oggi, secondo me deve prevedere: detassare gli investimenti a chi dà lavoro, investire soldi pubblici sullo sviluppo, costruire un welfare con sussidiarietà privata agevolata, favorire una scuola libera, autonoma e paritaria, aprire all’immigrazione con intelligenza».
Cosa significa aprire all’immigrazione con intelligenza?
«Molti ritengono che gli immigrati siano “vu cumprà” da mantenere. Preferisco l’approccio tedesco, che sa valorizzare gli immigrati secondo quello che sanno fare e che serve al Paese».
Immigrati a parte, il programma che ha tratteggiato mi ricorda molto la Lombardia del ventennio di Formigoni. Sbaglio?
«Formigoni non è solo disavventure giudiziarie. La sua politica è stata il più importante fattore di novità positiva degli ultimi anni: ha sostenuto lo sviluppo sposando grandi progetti, ha rifatto la Fiera in due anni, ha rinnovato la formazione professionale, ha creato una sanità di eccellenza. Non è un caso se i lombardi continuavano a votarlo e se ancora oggi in Lombardia si vive meglio che nel resto d’Italia, se ci sono servizi, assistenza, buona amministrazione».
Ma Cielle l’ha scaricato: quanto pesano oggi al movimento gli scandali del passato?
«Alcuni esponenti di Cl hanno fatto degli errori. Carròn ha riconosciuto che sono stati dati dei pretesti per essere criticati, ma non ha scaricato nessuno. Ammettere gli errori permette di ripartire: solo così un errore può diventare fattore di crescita. Se lo fai, poi ti fortifichi, diventi più lucido e cosciente. Così ci siamo resi più consapevoli del rischio di certe logiche e abbiamo intrapreso un percorso per vivere ancora più a fondo quello che ci origina. Testimoniamo la nostra presenza di fede e diamo il nostro apporto ma rifuggiamo dalla tentazione dell’egemonia».
Ritorno alle origini? Ma don Giussani non era per una partecipazione attiva a 360°?
«Costruire la società dal basso non implica una partecipazione attiva? Nel 1987 si scontrò il segretario della Dc De Mita, che sosteneva che la politica dovesse essere centrale nell’esperienza del cattolico. Don Giussani replicò rivendicando l’importanza fondamentale della crescita del singolo, sostenuta dai corpi intermedi, e del valore della politica fatta dal basso, come espressione dei corpi intermedi».
Quanto si sente francescano?
«Totalmente. San Francesco era un inno all’uomo e alla bellezza, basta pensare al Cantico delle creature, alla visione positiva della vita, al gusto della libertà personale nel rapporto con Cristo: il movimento è molto francescano».
Io mi riferivo a Bergoglio: con Ratzinger avevate un grande feeling anche a livello di dottrina, Wojtyla era il Papa dei movimenti, Francesco invece…
«Ma Bergoglio è molto in sintonia con Ratzinger. Entrambi mettono al centro il rapporto con Cristo e lo antepongono alla dottrina. Sono diversi solo i modi di comunicare ma l’insegnamento principale di tutti e due è “sii umano! Cercare Dio è bello e cambia tutto”; in questo sono molto vicini a quello che diceva don Giussani».
I cattolici tradizionalisti sono disorientati da Bergoglio, è considerato di sinistra e spaventano le sue apertur all’islam…
«Studino, si informino. Perché dovremmo rinunciare a parlare con un miliardo e mezzo di islamici? Il dialogo nasce dall’esperienza di condivisione della vita, non dalla teologia. E, come questo Meeting sta dicendo più volte, per essere noi stessi abbiamo bisogno di questo dialogo».
E come si fa?
«Avendo in mente che si può perché è già successo. L’obiettivo dev’essere l’Egitto di Nasser o il Libano prima della guerra, dove le tre religioni convivevano in pace. Non bisogna disconoscere o minimizzare il pericolo del terrorismo ma come lo stalinismo è stato vinto con il dialogo e aprendoci alle esperienze dei Solzenycin e di tutte le vittime dei gulag, così il fanatismo islamico si vince con la buona volontà e il dialogo».
Visione ottimista. Intanto le moschee si riempiono e le chiese si svuotano: perché?
«Quando la Chiesa abbandona il mondo, il mondo abbandona la Chiesa. C’è una incapacità di dare risposte alle richieste dei fedeli, di comunicare con la loro spiritualità».
Un atto d’accusa ai vertici del Vaticano?
«Un atto d’accusa prima di tutto a me stesso. La Chiesa è tutto il popolo dei credenti, non solo le gerarchie. Tutto il processo di secolarizzazione ha annacquato la bellezza di Cristo».