Il Messaggero, 22 agosto 2016
Quant’è dura la vita di un quarantenne in discoteca
Sono quelli che non s’arrendono, i panda della nightlife. Audaci, nonostante la chioma un po’ diradata (il finto rasato però aiuta...) e gli addominali che non sono più quelli di una volta. Quarantenni che hanno già ballato, una vita fa, e che ora tornano ad ancheggiare e a scaldarsi, sfidando albe e sbronze. Devono difendere la loro scelta dall’analisi anagrafica spietata che si vede stampata sul volto dei venti-e-passa-enni, che nella migliore delle ipotesi li definiscono giovanili. Quelli tutti Instagram e Snapchat, che infilano almeno un emoticon per frase, con qualche x, e che possono permettersi il lusso di sfilarsi la t-shirt guadagnandosi applausi più che espressioni di scherno. Sì, è dura la vita del quarantenne, che deve combattere per difendere il diritto di non essere rinchiuso nelle serate per over, un po’ ghetto, nate in alcune discoteche romane. Perché la chiave è non discriminare, accogliere tutti, al di là di look, orientamento sessuale e, ovviamente, età. La tolleranza inizia anche dalle rughe. Preferiscono i privé alle piste sovraffollate, si ubriacano in media di meno e generalmente non hanno nessun problema con i buttafuori (le risse tra 40enni sono una rarità). Trovano conforto e riparo nei dj che sono entrati negli anta (Paola Dee e Brezet, per citarne due, sono un’istituzione delle notti arcobaleno under e over) e affollano le sale con la musica house. I più sono single i fidanzati evaporano sempre, perché la socialità spaventa e sperano di gettare l’amo nel punto giusto: molti cercano una seconda (o terza...) chance, perché la notte è magica e l’amore può arrivare anche sulle note di Jennifer Lopez.