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 2016  agosto 22 Lunedì calendario

Ogni dieci famiglie povere quattro sono straniere

È rimandato alla riapertura dei lavori parlamentari l’esame al Senato del disegno di legge delega per l’attuazione del «Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale». Nato come collegato alla legge di Stabilità 2016, approvato dal Consiglio dei ministri in gennaio, il Ddl ha ricevuto l’ok della Camera in luglio e dovrà essere finanziato con le risorse della Finanziaria 2017 in discussione in autunno.
I soggetti interessati
Intanto la platea degli interessati continua ad allargarsi. È vero che il numero delle famiglie in povertà assoluta e quelle in povertà relativa (rispettivamente 1,6 milioni e 2,7 milioni, il 6,1 e il 10,4% dei nuclei totali) è rimasto più o meno stabile nel 2015 rispetto al 2014, ma è aumentato ancora quello degli individui coinvolti: sono quasi 4,6 milioni le persone che non possono permettersi di acquistare il minimo indispensabile per un tenore di vita accettabile (quello che l’Istat definisce il «paniere di povertà assoluta»), il numero più alto dell’ultimo decennio.
Per quanto riguarda la povertà relativa, sotto la soglia ci sono 8,3 milioni di soggetti, in crescita di quasi un punto sulla popolazione residente (il 13,7% dal 12,9% del 2014). Il fenomeno colpisce in particolare le famiglie più numerose, residenti al Nord, nei Comuni centro di aree metropolitane, con capofamiglia tra i 45 e i 54 anni, dotato di basso titolo di studio e, quando occupato, inserito in lavori di bassa qualificazione. Tutti aspetti che più facilmente caratterizzano la componente straniera.
Ma qual è la situazione di questa parte della società italiana (gli immigrati residenti sono quasi un decimo della popolazione), in quali Regioni possono maggiormente sperare di emergere dallo stato di indigenza? Tutte questioni alle quali una ricerca della Fondazione Leone Moressa vuol dare una risposta, elaborando anche un indice di benessere socio-economico che mette le regioni a confronto sulle chance di “recupero” offerte ai non italiani.
Veniamo al primo punto: lo scenario generale. Ebbene, sul totale delle famiglie in povertà assoluta la componente straniera (517mila) incide per quasi un terzo, ma sfiora il 40% se si aggiungono le famiglie miste (altri 84mila nuclei). Non va meglio per quanto riguarda la povertà relativa: i nuclei con uno o tutti i componenti non italiani sono 701mila, il 26% dei 2,7 milioni rilevati dall’Istat (si veda il grafico a fianco). Quanto alla distribuzione territoriale delle “famiglie di soli stranieri” in povertà relativa (562mila), si scopre che per oltre la metà vivono nelle regioni del Nord. «Una conferma dello svantaggio in cui si trovano le collettività non autoctone – osservano da Fondazione Moressa – ci viene dai dati del ministero dell’Economia e delle Finanze sulle dichiarazioni dei redditi per il 2015: secondo i quali, il differenziale tra contribuenti italiani e stranieri si attesta sopra i 7mila euro pro capite».
L’inclusione
Secondo punto affrontato dalla ricerca: i limiti e le opportunità a livello territoriale che, combinati insieme, danno un’idea delle chance di uscita dalla condizione di disagio. «Abbiamo considerato dieci parametri– spiegano da Fondazione Moressa – distribuendoli su sue versanti: l’intensità lavorativa, ossia il contributo alla ricchezza locale, e la mobilità sociale, ossia la possibilità di migliorare le proprie condizioni socio-economiche nel luogo di residenza». Il primo versante contiene sette indicatori, quali l’occupazione, l’attività e le entrate dei lavoratori stranieri; la seconda misura la vocazione all’imprenditorialità, la formazione umanistica, le risorse inviate in patria, tre indicatori che “illustrano” la collocazione dello straniero in seno alla collettività in cui risiede.
La classifica
«Integrando queste due componenti – continuano da Fondazione Moressa – abbiamo ottenuto un indice di benessere socio-economico, che esprime in quali regioni vi sono maggiori premesse per l’inclusione sociale. Attribuendo il valore “100” alla Regione con le migliori opportunità e “zero” a quella che ne offre meno, troviamo in cima alla classifica il Lazio, seguito da Sardegna, Toscana, Liguria e Lombardia. In fondo ci sono invece Calabria, Molise e Marche».
Come si spiegano queste posizioni? Se si guarda la tabella pubblicata a fianco, si vedrà, per il Lazio, che ha ad esempio il più alto tasso di occupazione degli stranieri (63,5% contro una media del 59%) e il minore di sostegno al reddito, la più elevata quota di iscritti al liceo e il secondo valore massimo nelle rimesse. Gli ultimi posti di Calabria e Molise si spiegano invece con una serie di indicatori tra i più bassi soprattutto nella prima area, quella economica.
Sorprende un po’ il dato della Lombardia, solo quinta. Eppure la Regione ha un rapporto tra presenze straniere e popolazione (quasi il 12%) che la colloca dietro solo all’Emilia Romagna) e – ci raccontano le ultime cronache – accoglie consistenti flussi di migranti in fuga dai loro Paesi. La tabella tratta dalla ricerca ci presenta anche delle buone performance tra i sette indicatori del versante riferito al lavoro e all’imprenditoria. «In effetti – commentano da Fondazione Moressa – nella Regione si registra una forte intensità lavorativa: il considerevole numero di stranieri residenti (oltre un milione, quasi un quarto del totale nazionale) sembra avere buone chance di trovare un impiego, considerati gli interessanti indici occupazionali e la bassa presenza di famiglie senza reddito. Tuttavia non si riscontra una mobilità sociale almeno pari a quella delle prime regioni in classifica: lo testimoniano i tre indicatori considerati dalla ricerca, tutti inferiori alla media, ossia il tassi di iscritti al liceo (meno di un terzo), la presenza di imprenditori in rapporto agli stranieri residente (12%) e i trasferimenti finanziari pro capite (intorno ai mille euro)».