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 2016  agosto 22 Lunedì calendario

Le pagelle delle Olimpiadi di Rio

Sipario e bilanci. Di fronte alla mappa della nuova geopolitica dello sport che Rio 2016 ci consegna, nei limiti di una valutazione a caldo, è lecito chiedersi: chi ha vinto? Chi ha perso? E soprattutto: è tutto oro quello che luccica?
Gli Usa, superati dal fattore campo della Cina a Pechino 2008 e rimbalzati in vetta nel 2012, sono di nuovo primi nel medagliere (voto 10). Nei 121 titoli, 46 d’oro incluso quello scontato del basket, prevalgono le quote rosa: 61 sono firmati da donne. Non esiste solo Phelps, ma nemmeno la Biles. Rio però premia soprattutto la Gran Bretagna, diventata seconda forza olimpica (voto 10 e lode) sull’onda lunga dell’Olimpiade casalinga grazie ai ciclisti in pista (11 medaglie, bottino pieno) e alle eccellenze dell’atletica, Mo Farah (doppietta 5.000-10.000) in testa. Bene anche il Giappone (voto 9), che ha compiuto un balzo in avanti fa sia in termini di ori (+5) sia sul fronte dei podi complessivi (dominati judo e lotta, è clamoroso l’argento nella staffetta 4x100 dietro la Giamaica, che vive di Bolt e atletica): chiude sesto, con smacco della Francia.
La prima Olimpiade in Sudamerica, viceversa, ridimensiona il gigante Cina (voto 8), terza con 70 medaglie contro le 100 di Pechino e le 88 di Londra, e poi vede il passo indietro della Corea del Sud (voto 6) – punta avanzata delle ambizioni dell’Estremo Oriente che ospiterà i prossimi Giochi invernali —, ottava grazie ad arco e taekwondo, oltre che quello, netto, della Russia (voto 4): orfana dell’atletica, ha vinto molto solo nella ginnastica e nella boxe, fermandosi a quota 56, niente rispetto alle 77 medaglie del 2012. Ma del resto era prevedibile, dopo il pasticciaccio brutto del doping. Del grande impero sportivo dall’Urss rimane solo il ricordo.
Quinta nel medagliere, la Germania (voto 7) è come l’usato sicuro: non tradisce mai. Sale di un gradino rispetto a Londra, confermandosi ai livelli di Pechino grazie a equitazione, a canoa e a due perle nell’atletica. Gli eterni rivali della Francia (voto 8), partiti malissimo, si attestano a 42 medaglie, settimi con judo, la regina atletica e qualche oro ben piazzato. Il risultato migliore da otto anni a questa parte. Davanti all’Australia, decima (voto 7), ecco l’Italia (voto 9), che oltre ogni più rosea aspettativa porta a casa un bottino di 28 medaglie, 8 d’oro: oltre a Campriani, santo subito, e scherma, i pesantissimi ori di Paltrinieri e Viviani. Alla fine è mancata davvero solo la Pellegrini.
Che l’esempio della Gran Bretagna sia d’insegnamento: un programma basato sul finanziamento portato in dote dal mondo delle scommesse (quelle lecite, s’intende). Partì tutto dalla traumatica esperienza di Atlanta ’96 (appena 15 medaglie, una sola d’oro: posizione n. 36 nel ranking). Dopo vent’anni, sfruttando il jolly di Londra, gli inglesi raccolgono ancora frutti. Anche il buon risultato del Brasile, voto 7 come gli ori (calcio, volley, beach e asta donne i guizzi) e lo stato di grazia del Giappone si legano alla questione organizzativa. Per essere all’altezza di Tokyo 2020 è stato varato un programma mirato. Colpisce il dato dei 21 bronzi: significa che c’è un’eccellenza diffusa, pronta a cambiare marcia e colore.
Gli Usa che cementano il ruolo di superpotenza non sono una novità: 19 medaglie più di Londra sono tante. I numeri sottolineano il distacco dalla concorrenza: il progetto è esplodere a Los Angeles 2024, facendo razzia. Le altre? La Spagna (voto 7) va oltre il raddoppio dei titoli (da 3 a 7: l’ultimo oro della veterana Beitia nell’alto), a scapito di una lieve flessione complessiva. Curiosa la situazione dell’Ungheria (voto 8), che si ripropone come Nazione da top 10 o dintorni ma che sbanca in soli quattro sport: scherma (oro regalato dalla Fiamingo) nuoto, canoa, atletica. Un piccolo miracolo. Stentano, nonostante la campagna acquisti di passaporti i Paesi del Golfo: le naturalizzazioni non si traducono in medaglie. Qatar (1 argento), voto 4, e Emirati Arabi (1 bronzo), voto 3, sono fanalini di coda.