Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 22 Lunedì calendario

La maledizione d’argento del volley italiano

Flavio Vanetti per il Corriere della Sera
Nemmeno la terza volta è quella buona. La maledizione che impedisce all’Italia del volley di vincere l’oro ai Giochi si risveglia come un mostro degno di una leggenda e divora pure questa Azzurra che rappresenta la «next generation» degli squadroni che negli anni 90 avevano dato il là a un’epopea purtroppo ancora priva del titolo più ambito. Di padre in figlio, viene da dire: Brasile-Italia 3-0, ci resta un argento splendido e indigesto, la medaglia che fa scopa con le sue omologhe di Atlanta 1996, quando fu l’Olanda a piegarci al tie break, e di Atene 2004, dove a sbarrare il varco ci furono altri «verdeoro», perfino più forti di quelli ai quali ieri abbiamo ceduto. Superiori loro, i brasiliani che vendicano lo smacco di quattro anni fa quando consegnarono ai russi una partita vinta? No, inferiori noi: in ricezione, in battuta, in individualità fondamentali (Lanza e Giannelli, che forse ha pagato di colpo il suo essere «deb»).
I rimpianti però stanno a zero, Chicco Blengini, il c.t. che a caldo s’infuria con quelli che valutano i «video challenge», si ricompone in fretta e se da un lato ammette che «il Brasile ha meritato», dall’altro prova orgoglio per la sua Nazionale: «Ci ha provato, ha lottato, si è arresa solo nei finali dei set». Avevamo immaginato che il Maracanazinho, il luogo del trionfo iridato dell’Italia 1990 di Julio Velasco, fosse il luogo scelto dal destino per vedere la squadra di Blengini – che di Julio fu discepolo – invertire la storia. Tutto vano, il mostro ha vinto perfino in questa tana speciale mortificandoci con un paio di decisioni scandalose (due punti chiave, nel secondo e nel terzo set, sono stati negati dalla prova video: nel primo caso, Lucarelli aveva ammesso il tocco) ma anche mettendo sul piatto un avversario comunque miglior e.
Il Brasile ci ha fatto male con le legnate di Lipe e Wallace, con Lucas e de Souza che hanno vinto la battaglia a centro rete, con le variazioni in battuta che hanno impedito all’Italia di essere imprevedibile. Azzurra è partita bene (4-1), ma il non aver indirizzato a suo favore il primo set è stato il manifesto di un incontro vissuto sempre inseguendo, rincorrendo la battuta che non entrava, non agganciando mai quella svolta che invece era stata pescata contro gli Usa. La storia, è vero, avrebbe potuto cambiare sulle due palle fatte analizzare dalla moviola. Secondo set, l’Italia dall’11-14 aveva sorpassato, 21-20; arriva l’occasione per l’allungo, Zaytsev tira fuori ma Lucarelli sfiora. Niente da fare, punto al Brasile. Terzo set, 17-15 dopo una murata italiana. Nell’azione successiva Wallace sbaglia, il Brasile chiede il fallo a rete di Juantorena e ha ragione, anche se non sembrerebbe. Nel primo caso Azzurra ha perso la chance di chiudere la volata per l’1-1, nel secondo di accendere l’ultima luce sulle ombre della finale.
Il Maracanazinho si riempie di lacrime, festeggia pure Neymar dopo il suo oro nel calcio. Ma c’è anche la standing ovation per Zaytsev, il giocatore-simbolo del torneo. Blengini non torna sui video discussi («C’è la tecnologia, ne prendo atto»), è felice che la sua Nazionale abbia «riacceso la passione per il volley» e si rifiuta di parlare del contratto che scade oggi: «Non è il momento per farlo». A suo fianco il presidente Magri si sbilancia: «Ci sono le condizioni perché Chicco continui». E ci mancherebbe.

***

Alessandro Pasini per il Corriere della Sera
Non provate a consolarli adesso. Tra qualche giorno forse, quando capiranno il senso di questo viaggio straordinario. Ma adesso no. «Era l’occasione della vita», dice Osmany Juantorena nel backstage del Maracanazinho, e nei suoi occhi lucidi c’è il rimpianto per una vittoria perduta e, raccontano tutti gli azzurri dopo il match, possibile. «Serviva più lucidità, siamo partiti troppo carichi e volevamo fare le cose troppo perfette», aggiunge l’italocubano, e Ivan Zaytsev approfondisce il concetto: «I brasiliani erano tesissimi ma noi li abbiamo rimessi in partita facendo annusare loro l’odore del sangue». La via d’uscita ha provato a indicarla Simone Giannelli, con i suoi 20 anni il più giovane in campo: «Ho visto facce tirate tra i compagni e ho detto di sorridere: in fondo era pallavolo, non scienza nucleare». Buona teoria, ma non è servita.
Naturalmente, non è stata solo una questione di psicologia. Ci sono stati gli errori pesanti, come quello proprio di Giannelli in battuta sul secondo set point del secondo set: «L’ho presa un po’ bassa, un errore tecnico. Ma era una finale olimpica, dovevo rischiare». E poi ci sono stati i dubbi sulla decisione arbitrale sul 21-20 nel secondo set, quando la palla del 22-20 azzurro è stata convertita in 21-21 dopo l’analisi del replay. «Quella palla toccata dal brasiliano l’ha vista tutto il mondo», osserva Juantorena. «Persino il brasiliano lo ha ammesso», aggiunge Zaytsev, che è però bravo a stare in equilibrio tra ironia e sportività: «Certo, a pensare male ci si mette un attimo, ma questo sport è spesso questione di sfiga e fortuna. Penso al mio ace decisivo di un millimetro in semifinale e dico di evitare ogni polemica».
Gli azzurri preferiscono l’accettazione, i complimenti ai brasiliani e un po’ di sano orgoglio. Lo Zar, applaudito da tutto il palazzo, racconta di un gruppo che «ha messo insieme le singole storie personali, ognuno ha aperto il cuore per condividere qualcosa di grande. E questo è comunque un premio». La maledizione dell’oro olimpico resta, ma che si può fare? Zaytsev prima scherza: «Volevamo fare stare tranquilla la generazione dei fenomeni…». Poi dà appuntamento a Tokio: «Le finali olimpiche sono rare, ma sono belle da rincorrere. Ci riproveremo». Con una certezza: «Abbiamo conquistato il cuore degli italiani. Hanno capito che noi siamo gente umile come quelli che fanno colazione al bar prima di andare al lavoro». Gli azzurri il loro lavoro lo hanno fatto benissimo. Col tempo lo capiranno. E sorrideranno di nuovo.