Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 22 Lunedì calendario

In morte di Daniela Dessì

Alberto Mattioli per La Stampa
Il mondo dell’opera è sotto choc. Si dice sempre così quando se ne va un grande cantante. Però Daniela Dessì era una primadonna popolarissima, e aveva appena 59 anni. Che non stesse bene, lo si sapeva: aveva annullato uno spettacolo su Medea a Macerata e tutti gli impegni dell’estate. Ma annunciandolo aveva dato appuntamento all’autunno. Quindi è stato uno choc la notizia della sua morte, che si è diffusa sabato notte sui social network, poi confermata dal compagno, il tenore Fabio Armiliato: «Una malattia breve, terribile e incomprensibile me l’ha portata via in questi mesi».
Dessì era nata a Genova nel 1957. Debutto nel ‘79 a Savona nella Serva padrona, poi la vittoria-trampolino al concorso Callas. Bella donna, bellissima voce da soprano lirico, piena, scura, morbida, tipicamente italiana come timbro e come tecnica. Iniziò con il barocco, con Mozart, spesso con Muti di cui fu forse la Fiordiligi migliore, e con qualche Rossini scelto con giudizio, perché la coloratura non fu mai il suo forte. I Novanta furono i suoi anni migliori.
Personalmente, ricordo due prove strepitose in altrettanti titoli un po’ «laterali»: Les Danaïdes di Salieri al Filarmonico di Verona nel ‘96, impressionante per convinzione e intensità in una parte «grande agitato» in bilico fra classicità e primi fremiti romantici, La cena delle beffe di Giordano al Comunale di Bologna nel ‘99, dove fu una Ginevra sensualissima per voce e fisico in una magnifica produzione Bartoletti-Cavani.
Intanto erano arrivati tutti i grandi teatri, italiani e internazionali. Alla Scala, quasi trent’anni di presenza, partendo con una parte da comprimaria nella Pietra del paragone dell’82 e finendo con i grandi Verdi e Puccini. E un unico Sant’Ambroeus, il 7 dicembre ‘92, un Don Carlo Muti-Zeffirelli nel complesso abbastanza sfortunato, a cominciare da una celebre stecca di Pavarotti, che non sapeva assolutamente la parte.
L’approdo a Norma arrivò forse un po’ tardi, nel 2008 a Bologna, ma le valse l’Abbiati, il premio della critica italiana. E anche il mio personale premio «nervi d’acciaio». Ci fu, alla prima, un tentativo di sabotaggio con un cellulare fatto trillare troppo a lungo, troppo forte e troppo vicino al palcoscenico perché non ci fosse dolo, e per di più con precisione chirurgica: esattamente fra la fine dell’assolo del flauto e l’attacco di «Casta diva». Lei, impeccabile, calmissima, non si fece sabotare e cantò come sapeva (però poi, dopo la recita, confessò che aveva avuto una gran voglia di fermare tutto e mandare il disturbatore dove meritava).
La carriera seguì poi la naturale evoluzione della voce, con debutti sempre più pesanti e una passione per Tosca in cui si immedesimava. E poi ancora tanto Puccini e tutti i sempreVerdi più drammatici, dai Vespri in avanti. Negli ultimi anni avrebbe avuto bisogno di cambiare repertorio: ne è mancata la consapevolezza, la volontà o forse, chissà, il tempo. Non è mai stata un’artista da major discografica, ma fra live e dvd la sua discografia non è piccola.
Donna simpatica, concreta, spigliata, era amatissima dal pubblico, e questo spiega il cordoglio con cui sui social il popolo dell’opera l’ha pianta e la piange. I teatri la ricordano e le dedicano recite. Lascia un figlio, avuto da una precedente relazione. Lui e Armiliato hanno commentato così: «Abbiamo perso un’artista sublime, una mamma premurosa, una donna magnifica, una stella fulgida che con il suo canto luminoso e la sua arte eccelsa continuerà sempre a brillare come esempio immortale per tutti». Dispiace, davvero, proprio a tutti.

***

Enrico Girardi per il Corriere della Sera
Se sia stato «il miglior soprano degli ultimi vent’anni», come ha dichiarato in preda al dolore Fabio Armiliato, suo compagno nella vita e, spesso, sulla scena, non si può dire.
D’altra parte, i comparativi assoluti stonano di per sé, a maggior ragione in circostanze come questa, terribile, della prematura scomparsa di Daniela Dessì, cantante nemmeno sessantenne che ha calcato le scene di tutti i maggiori teatri d’opera del mondo e che è mancata ieri in un ospedale di Brescia, dove era ricoverata per una malattia improvvisa che l’ha stroncata in poche settimane (le esequie saranno celebrate domani nel Duomo di Brescia; la salma sarà poi seppellita nel cimitero di Gussago, dove il soprano risiedeva).
Senza tema di smentite, però, si può dire che Daniela Dessì è stata un soprano amatissimo. E la principale ragione di ciò consiste nel fatto che in un’epoca di specializzazione e di interpreti costruiti in laboratorio, ha saputo incarnare splendidamente la figura della cantante di una volta, nata e cresciuta in un ambiente dove si masticava opera come il pane, dove cantare le arie di questo o quel personaggio era la cosa più facile e naturale di questo mondo perché era musica che si sapeva, non che si imparava.
Avvenente, formosa, appassionata, spiritosa, personaggio a tutto tondo sulla scena, la «Danielona», come la si chiamava affettuosamente tra addetti ai lavori, è stata forse insomma l’ultima cantante popolare: la voce di una tradizione lirica che va scomparendo. E questa dimensione popolare non l’ha in fondo tradita del tutto negli ultimi anni quando, al decrescere dello squillo, non si è sottratta alle comparsate al Festival di Sanremo con Francesco Renga o ad altri programmi televisivi, invero non al suo livello.
Non l’ha tradita perché si è presentata con lo spirito giusto. Nella costruzione del profilo interpretativo, tuttavia, non vi è stata nemmeno l’ombra dello spontaneismo. Non si sta parlando della cameriera di cui un qualcuno scopre per caso la bella voce e la trasforma il giorno dopo in diva, come la Fatina, Cenerentola, al «Ballo» di Salisburgo. Daniela Dessì aveva piena consapevolezza tecnica e stilistica di quel che faceva. Era interprete seria.
Qualche anno fa a un convegno veronese su Maria Callas stupì i convenuti per l’acume con cui analizzò al microscopio — meglio dei «vociologhi» — aspetti estremamente tecnici della vocalità della Divina, di cui è stata ammiratrice fin da ragazzina. E proprio perché consapevole delle insidie dei vari autori e del mutare del proprio strumento, non ha quasi mai sbagliato le scelte di repertorio, tra Rossini e il belcanto, Verdi e Puccini, e infine il Verismo. Non era più all’apice della carriera. Ma mancherà lo stesso.

***

Leonetta Bentivoglio per la Repubblica
Difficile rendersi conto che un’artista brava e bella come Daniela Dessì, morta a 59 anni in ospedale a Brescia nella notte tra sabato e domenica, se ne sia andata improvvisamente, pochi mesi dopo aver scoperto di avere un male che il tenore Fabio Armiliato, suo partner nella vita, ha definito “terribile e incomprensibile”. La scomparsa di una persona in piena attività ha sempre un colore irreale. Nel caso del soprano genovese la notizia suona ancora più assurda, riferendosi a una signora che appariva fresca e vigorosa, colma di sensualità e passione. Per decenni la Dessì ha ammaliato gli spettatori della Scala con curve morbide e scollature seducenti, che fiorivano da stretti bustini d’epoca. Virtù che premiavano, come dettagli ornamentali, le luce prioritaria di una voce nobile e curata, che partendo dal Settecento, da Mozart e da Rossini, aveva conquistato Verdi, Puccini e il verismo. A nutrire il rimpianto si aggiunge la distanza della Dessì da qualsiasi divismo: era simpatica, accogliente, umanissima e impegnata nello studio con incrollabile umiltà. Eppure di motivi per giocare al ruolo della star ne aveva molti, avendo costruito una carriera che l’ha portata a cantare nelle maggiori case d’opera del mondo e a lavorare coi maestri più famosi ed esigenti (Riccardo Muti, Claudio Abbado, Carlos Kleiber, Zubin Mehta, Lorin Maazel, Riccardo Chailly, Giuseppe Sinopoli e Daniele Gatti).
Nata a Genova nel 1957 e affascinata fin da piccola dal canto (disciplina studiata dalla madre e dalla zia), studia al Conservatorio di Parma e all’Accademia Chigiana di Siena, e dopo una vittoria a un concorso Rai (1980) dove la nota Karajan, si lancia in un percorso tutto in ascesa che giunge ad arricchirsi di una settantina di titoli, in un arco esteso da Monteverdi al Novecento. Raffinata mozartiana (memorabile la sua Fiordiligi in Così fan tutte con Muti, insieme a cui fa anche varie opere di Verdi), in anni recenti si dichiara innamorata di eroine pucciniane quali Tosca e Cio Cio San, nelle quali percepisce “un intreccio di forza e fragilità che mi assomiglia”. La sua densa femminilità la porta a prediligere anche i palpiti di Aida e la poesia aleggiante in Francesca da Rimini. E riflette il suo coraggio nel mettersi insistentemente alla prova il confronto con Norma, ruolo impervio che interpreta per la prima volta in età matura a Bologna, aggiudicandosi il Premio Abbiati (2008). La motivazione segnala un’arte “che riporta il belcanto alle ragioni del dramma, senza nulla concedere all’edonismo e al mero sfoggio di bravura”. Touché: Daniela Dessì era un’interprete all’antica, non omologata. Perciò non è mai stata un fenomeno mediatico: le interessava la sostanza. Aveva un piglio “tebaldiano” la sua Violetta, emotiva e drammatica, fronteggiata con un’indole da soprano lirico spinto, dunque lontana dall’idea “leggera” della protagonista di Traviata a cui si tende oggi. Si era misurata con sobrietà anche con la regia e le piaceva insegnare, persuasa della necessità di educare i giovani a “non correre troppo: se si esagera facendo tutto e subito ci si sgretola”. Dal 2000 formava con Armiliato una delle coppie più celebri della lirica internazionale. La scintilla era scoccata all’Arena di Verona grazie ad Aida e il rapporto sembrava averle dato una benefica stabilità affettiva. Sempre femminilissima, confessava di amare la “forte connotazione virile” del compagno.

***

Piera Anna Franini per il Giornale
Il mondo del canto ha perso una stella. Il soprano Daniela Dessì, 59 anni, si è spenta sabato, al Poliambulanza di Brescia. Di Genova, risiedeva da anni sul Lago di Garda. Una scomparsa prematura causata da una «malattia breve, terribile e incomprensibile», ha spiegato il tenore Fabio Armiliato, il compagno nella vita e nell’arte. Di fatto, solo nelle ultime settimane la Dessì aveva cancellato gli impegni dell’estate. Si era ripromessa di tornare a cantare l’8 ottobre, per un concerto sacro alla Basilica di Loreto.
E’ stata uno dei soprani più intelligenti e intriganti degli ultimi decenni. Eletta a «soprano assoluto» dalla critica, per voce di nobile pasta, tecnica impeccabile e istinto drammatico. Si aggiunga poi la vastità del repertorio: più di 70 ruoli, dal Barocco in su, con una speciale predilezione per i titoli di Verdi e Puccini. Amava chiamare «Puccini il mio amante musicale e Verdi il mio marito». Verdi l’aveva stregata subito, da bimba quando una zia, corista all’Opera di Roma, l’aveva introdotta come comparsa in un’Aida del 1968. Aveva 11 anni, in casa era considerata il «canarino» («Perché non facevo altro che cantare»). Tempo quatto anni ed era in Conservatorio per studiare seriamente canto. Poi accadde tutto velocemente, da vero talento. Ventenne già era in palcoscenico per La Serva Padrona di Pergolesi. Vinceva un concorso indetto dalla Rai. Il direttore Herbert von Karajan si interessava subito a lei, che prese al volo un aereo e andò a Berlino per l’importante audizione.
La Dessì è l’interprete di riferimento di Verdi, Puccini e il repertorio verista. Compositori talmente congeniali da regalarle alcuni primati. Perché la Dessì è stata la prima cantante italiana ad aver interpretato in Italia e nella stessa sera i tre ruoli del Trittico di Puccini (Giorgetta, Suor Angelica e Lauretta) e la prima e unica interprete occidentale a portare Madama Butterfly a Nagasaki. Ha lasciato tracce in tutti i teatri di punta, che oggi la piangono. Alla Scala lavorò ben 15 anni con Riccardo Muti, anzitutto in ruoli verdiani così come è ancora nella memoria la sua interpretazione di Fiordiligi nel Così fan tutte di Mozart.
Sempre alla Scala, ricordiamo una sua Cio-cio-san (Madama Batterfly) che alla fine sollevò entusiasmi da stadio, e frequenti applausi a scena aperta. A questo personaggio, idem per Tosca, la Dessì avrebbe legato il suo nome sebbene - a spettacolo finito - ci confessasse di avere «un rapporto di amore odio con Madama Butterfly, perché è un ruolo difficile dal punto di vista fisico, emotivo e psicologico, mette ansia».
Una donna grintosa, la Dessì. Accusata da Zeffirelli di esser troppo formosa e in là con gli anni per fare Traviata, piantò in asso lo spettacolo. E a 53 anni, accettava il ruolo della giovanissima Minnie. Perché «un artista diventa grande dopo i 35 anni, è quasi impossibile trovare una Minnie ventenne all’altezza del compito. La carriera si fa con la voce e non credo che i compositori pensassero alla taglia 42 mentre scrivevano le loro opere». E in barba ai puristi della lirica, capitava che si divertisse a duettare con rapper (accadde ad Amici) o cantanti pop (Francesco Renga).
***

Luca Della Libera per il Messaggero
A soli cinquantanove anni, è morta a Brescia il soprano Daniela Dessì. Lo ha annunciato il tenore Fabio Armiliato, compagno di vita dal 2000. «Una malattia breve, terribile e incomprensibile me l’ha portata via in questi mesi - ha detto Armiliato - se ne è andata la più grande cantante lirica degli ultimi 20 anni», ha aggiunto commosso. Tante e prestigiose le collaborazioni internazionali dell’artista, nata a Genova ma da tempo residente sul lago di Garda. Innumerevoli e sempre accolte con grande favore dal pubblico e dalla critica le sue interpretazioni, tra cui quelle delle eroine verdiane e pucciniane, e le collaborazioni con i più grandi teatri, dalla Scala di Milano al Metropolitan di New York, alla Deutsche Oper di Berlino.
Particolarmente apprezzata nel repertorio verdiano, pucciniano e verista, Dessì si è sempre fatta apprezzare per la bellezza incomparabile della sua voce la tecnica impeccabile e uno straordinario talento drammatico. 
Si era diplomata in canto e pianoforte nel Conservatorio di Parma, per poi specializzarsi in canto da camera all’Accademia Chigiana di Siena. Il suo debutto avvenne nella città natale, con La serva padrona di Pergolesi: subito dopo ebbe inizio una straordinaria carriera che l’ha portata a collaborare con i direttori, i teatri e i festival più importanti del mondo. Ha cantato con maestri del calibro di Claudio Abbado, Riccardo Muti, Riccardo Chailly, Daniele Gatti, Carlo Maria Giulini, Carlos Kleiber, James Levine, solo per citarne alcuni. 
È stata la prima cantante italiana ad aver interpretato in Italia e nella stessa sera i tre ruoli del Trittico di Puccini (Giorgetta, Suor Angelica e Lauretta) e la prima e unica interprete occidentale a portare Madama Butterfly a Nagasaki, in Giappone, con una tournée del Festival Pucciniano di Torre del Lago. 
Tra i suoi maggiori recenti successi la Tosca a Firenze, dove ha eseguito il bis di «Vissi d’arte» a cinquantadue anni di distanza dall’ultimo bis di un’aria concesso da Renata Tebaldi; Madama Butterfly a Roma e a Palermo, Adriana Lecouvreur a Barcellona, Tosca ad Atene e a Berlino, i concerti a San Paolo in Brasile in duo con Fabio Armiliato, suo compagno nella vita e nell’arte, La forza del destino a Liegi, Aida all’Arena di Verona, il Galà verdiano al Teatro Madlenianum di Belgrado sempre con Fabio Armiliato. Il ritorno al ruolo di Mimì nella Bohème con la regia di Ettore Scola andata in scena al 60° Festival Pucciniano di Torre del Lago è stato un nuovo, straordinario successo di pubblico e di critica. 
Negli ultimi anni Daniela Dessì ha aggiunto al suo già vasto repertorio alcuni ruoli importanti, molto diversi tra loro, dando così ulteriore prova di versatilità e grande doti tecniche. Il debutto a Bologna in Norma nel 2008, le è valso il Premio Abbiati, prestigioso riconoscimento della critica musicale italiana. Accanto a questo e al Premio Belcanto Celletti, nel corso della sua carriera ha ricevuto altri importantissimi premi; tra i più recenti l’International Opera Award Oscar della lirica 2013, il Premio Giacomo Puccini a Torre del Lago nel 2001, il Premio Zenatello dell’Arena di Verona nel 2000, il premio Cigno d’Oro e, nel 2015, l’Illica d’Oro e il Premio Caruso alla carriera.
I funerali si svolgeranno domani alle 15.30 nella cattedrale di Brescia.