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 2016  agosto 22 Lunedì calendario

Roma, Berlino e il paradosso del deficit

Oggi a Ventotene, Angela Merkel e Matteo Renzi si presenteranno alle telecamere di tutto il mondo come rappresentanti di realtà antitetiche. La cancelliera tedesca guida un governo che viene visto dagli altri – e vede se stesso – come il punto di riferimento nella disciplina di bilancio. Il presidente del Consiglio si muove all’estremo opposto, data la percezione internazionale della fragilità finanziaria italiana. 
Naturalmente la reputazione di entrambi i Paesi sui conti pubblici per molti aspetti è meritata. Il deficit tedesco è azzerato da anni, mentre l’Italia fatica a contenere il proprio; il debito della Germania sta accelerando il calo in proporzione al reddito nazionale (Pil), negli anni in cui quello del governo di Roma sale a sempre nuovi massimi storici.
Eppure un’occhiata alla struttura della finanza pubblica nei due Paesi suggerisce che la realtà è più complessa della narrazione comunemente accettata. L’idea che la Germania in questi anni e decenni abbia dimostrato un controllo di bilancio superiore all’Italia esce smentita da un’analisi su dati del Fondo monetario internazionale. Se si guarda agli ultimi due decenni, o all’ultimo decennio oppure anche solo agli anni della grande crisi dell’euro, sembra vero il contrario: l’Italia ha controllato più e meglio della Germania i propri conti pubblici, eppure il debito è esploso lo stesso.
Il valore indicativo della capacità di un governo di gestire le proprie finanze è il cosiddetto «saldo primario»: quello fra entrate e uscite prima che il Tesoro paghi gli interessi sul debito; quest’ultimo fattore infatti non è nel controllo di un governo, a meno che questo non cambi i termini dei titoli di Stato a proprio favore, rifiuti di onorare gli impegni sul debito. 
Il «saldo primario» è dunque il solo elemento che un governo gestisce. E in questo l’Italia ha fatto tre volte meglio della Germania nel confronto degli ultimi 21 anni, come la Germania sugli ultimi dieci anni e di nuovo meglio della Germania dal 2010 a oggi. Se Berlino è il paragone, e le sue prescrizioni di rigore sono corrette, l’indisciplina sul bilancio pubblico non è stata il problema che ha portato l’Italia a questo punto. 
Come mostra il grafico in pagina, i valori della banca dati del Fmi non lasciano molti dubbi in proposito. Dal 1996 a oggi l’Italia ha accumulato nel complesso un surplus primario medio del 2% l’anno, nel complesso pari al 43% del Pil o circa 700 miliardi di euro ai valori attuali. Nello stesso periodo la Germania ha accumulato un surplus dello 0,7% l’anno in media prima di pagare gli interessi. La Germania è stata persino in deficit primario per un terzo del tempo negli ultimi due decenni, l’Italia meno di un anno ogni dieci. Eppure durante questo lungo periodo il debito del governo di Roma, rispetto al Pil, è salito del 5% più di quello di Berlino.
Effetti simili sono visibili su periodi più recenti. Dal 2006 in media il surplus primario di bilancio dell’Italia (1,15% del Pil) è stato allineato a quello della Germania (1,19%). Misurato poi dal 2010, quando esplode la crisi dell’euro, l’Italia risulta di nuovo più efficace della Germania nel controllare il bilancio: negli ultimi sette tormentatissimi anni l’attivo del governo prima di pagare gli interessi sul debito è in media dell’1,18% del Pil, mentre quello di Berlino è un po’ inferiore all’1,10%. 
I risultati dei due Paesi, come è noto, sono stati diametralmente opposti. Nelle dinamiche del debito pubblico apparentemente non c’è traccia di decenni di disciplina di bilancio italiana. Il debito di Berlino è in calo dall’82% del Pil nel 2006 al 68% di quest’anno, quello dell’Italia nello stesso periodo passa dal 104% a (almeno) il 132%. Ovviamente hanno giocato altri fattori. Il primo è che negli ultimi vent’anni le dimensioni dell’economia italiana sono cresciute di appena il 10% (0,5% in media annua) contribuendo a far salire sempre di più il debito, misurato in confronto ad essa. L’economia tedesca invece si è espansa anch’essa timidamente (1,4% in media dal 1996), ma pur sempre quasi tre volte più dell’Italia. La tenuta della finanza pubblica sembra dipendere dalle strutture di fondo che determinano il dinamismo di un’economia ed è dunque su di esse – non sui decimali di deficit – che semmai Bruxelles dovrebbe esercitare un controllo aggressivo con procedure e sanzioni.
Si nota però almeno un altro fattore: i tassi d’interesse sul debito pagati dalla Germania sono sempre stati più bassi, negli ultimi anni in misura parossistica. La fuga di capitali verso il cuore dell’area euro dall’inizio della crisi fa sì che gli investitori ormai siano disposti a far credito al governo di Berlino per i prossimi sette anni a tassi negativi, ossia perdendoci il proprio denaro alla scadenza. Così la crisi dell’euro è diventata uno sgravio fiscale permanente per i contribuenti tedeschi: li aiuta a pagare meno tasse per quadrare i conti di uno Stato che guadagna persino quando si indebita.
Questo purtroppo non cambia le lezioni per l’Italia. La più immediata è che l’austerità di bilancio è solo un’inefficace cura dei sintomi del proprio male: se il Paese non riprende a crescere, è come cercare con continui sacrifici di riempire un secchio bucato. Ma l’altra lezione è che in questa paralisi economica l’Italia non ha avuto e non ha scelta: se i suoi saldi di bilancio fossero stati anche peggiori di quelli tedeschi, il debito sarebbe a livelli greci. Se il Paese non si mette in condizioni di crescere dovrà per sempre essere più austero di Berlino – pur essendo trattato da scialacquatore – oppure affrontare il salto nel buio di un default.