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 2016  agosto 22 Lunedì calendario

La vendetta del Califfo in Turchia

Quanto sta accadendo in Turchia è davvero molto grave e preoccupante, forse più di quanto possiamo immaginare. Il terribile attentato suicida di Gaziantep, durante una festa di matrimonio, con un numero impressionante di vittime, soprattutto curde, è l’ultimo sanguinoso tributo che il Paese paga alla propria scriteriata condotta governativa. 
Non si può, con un battito d’ali, rinnegare le scelte tattiche di anni, con sporchi affari petroliferi tessuti con i tagliagole dell’Isis, e schierarsi dall’altra parte: Putin che, da nemico giurato, diventa un partner indispensabile; Assad, avversario da annientare, trasformato in nuovo amico da sostenere, quantomeno per adesso; Israele da comprendere e rispettare; gli Stati Uniti da diffidare; la Nato da irridere, l’Ue da ricattare. Erdogan e i suoi stanno sbagliando tutto, o forse avevano sbagliato prima, e ora ne pagano le pesanti conseguenze.
Le prime reazioni alla strage di Gaziantep sono state confuse. Come se Ankara, almeno all’inizio, volesse lasciare aperta la porta a tante possibilità. Nell’ordine: un attentato del Pkk (i guerriglieri turco-curdi): un nuovo affronto sanguinoso ordito dal povero Fetullah Gulen, alla cui violenta strategia non crede più nessuno. Infine, una sfida mafiosa dell’Isis, che si sente tradito. Il neo-sultano ha optato per quest’ultima ipotesi, la più credibile.
La Turchia, ci piaccia o meno, è un nostro partner insostituibile: per la sua posizione geografica, per la stabilità che ha sempre garantito alla nostra Europa, rappresentando la solida frontiera ai nostri confini, prima con l’Urss e oggi con la Russia e gli altri Stati nati e cresciuti dopo la disgregazione dell’impero comunista. Con la garanzia fondamentale di essere un punto di riferimento democratico e musulmano del Medio Oriente. E poi perché potrebbe invaderci di migranti. Bisogna attentamente riflettere. Quanto siamo disposti ad accettare e a pagare?
L’attentato di Gaziantep è l’ultima prova della sfida mortale dell’Isis, ed è una vendetta. L’altro ieri il primo ministro turco, fedelissimo del presidente, ha annunciato che Ankara comprende la necessità di accettare per adesso il regime di Assad in Siria, come chiedeva Putin. È evidente che il presidente russo non è a livello paritario con il sultano. È in grado di sostenere una strategia rude, cinica, ma estremamente efficace. Erdogan, dopo aver favorito il suo «golpe farlocco», sembra davvero smarrito. Arresta, ferma, intimidisce, punisce e tortura decine di migliaia di oppositori. Svuota le carceri di delinquenti comuni per riempirle di golpisti, che sono golpisti soltanto nella sua mente. È arrivata la notizia che 300 diplomatici appartenenti a una nobile casta di funzionari statali, sono stati convocati ad Ankara, sospettati d’essere complici di chissà quale complotto.
Sostengo dalla notte del 15 luglio che il “golpe” è stato inventato, o probabilmente favorito per consumare vendette e avviare una stagione di purghe neostaliniste. Adesso, anche molti scettici hanno capito. La realtà è che abbiamo di fronte, sul delicatissimo fronte sudorientale, un Paese in preda al caos, e che oggi avrebbe bisogno di una guida sicura. Non so se Erdogan sia in grado di garantirla. Spero che abbia la freddezza per correggere i suoi troppi errori. Altrimenti, Gaziantep potrebbe non essere un episodio isolato.