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 2016  agosto 22 Lunedì calendario

Il problema degli Stati falliti come Siria, Iraq e Libia,

Siria, Iraq, Libia, Yemen diventano di giorno in giorno un problema per il mondo. Questi Paesi fanno parte della categoria degli «Stati falliti». Se si aggiungono gli «Stati fragili», il loro numero ammonta a parecchie decine. Si tratta di costruzioni statali precarie o inesistenti, di governi che non tengono sotto controllo tribù, clan, etnie, gruppi paramilitari; dove il potere pubblico è eroso, ha perduto legittimazione ed efficacia, non controlla il territorio, non è in grado di garantire la sicurezza dei suoi cittadini, è incapace di erogare i servizi pubblici e di interagire con gli altri Stati. In questi Stati i poteri centrali sono fatiscenti, non assicurano l’uso legittimo della forza; i diritti umani sono violati; la popolazione vive in povertà. Questi Stati falliti o fragili esportano gravi problemi in altre parti del mondo, specialmente in quelle vicine: molti loro abitanti fuggono, chiedendo asilo altrove; altri si dedicano al terrorismo internazionale, promuovendolo, facendo proseliti, educando alla violenza. Gli altri Stati, specialmente quelli confinanti, debbono, quindi, darsi carico delle tensioni prodotte dall’emigrazione e della minaccia che deriva dal terrorismo. Non tutte le cause di questa situazione sono interne. Molte dipendono dalle costruzioni artificiali imposte dalle maggiori potenze mondiali prima di lasciare le loro colonie o al termine di conflitti bellici. Oppure da interventi di Paesi occidentali, talora diretti allo scopo di abbattere governi autoritari o dittatoriali, che hanno, però, scoperchiato e reso più virulenti conflitti locali. 
La comunità internazionale, sotto l’egida dell’Onu o di governi regionali come l’Unione Europea, deve assicurare assistenza internazionale per favorire o imporre il ripristino delle funzioni di governo? In astratto, è il popolo stesso che deve costituirsi in Stato, agendo dal basso, perché, proprio secondo i dettati della Carta delle Nazioni Unite, ha diritto all’autodeterminazione. Più concretamente, c’è chi dice che gli Stati falliti o fragili vengono usati per interventi esterni, e che si ritorna all’imperialismo ottocentesco. Altri dice che sono meglio dittatori come Saddam, Gheddafi e Mubarak, garanti della stabilità. Dunque, il principio di sovranità popolare escluderebbe interventi esterni, come quello disegnato dalla risoluzione Onu del 14 marzo 2014 per assicurare la transizione alla democrazia in Libia, preparare una nuova costituzione e costruire un governo centrale efficace.
Queste posizioni neutraliste sono sbagliate sia storicamente, sia dal punto di vista politico, sia da quello etico. Ignorano che gli Stati moderni non si sono formati in virtù di una volontà costituente del popolo, ma grazie a un processo lento nel quale il centro motore è stato un esecutivo, spesso con l’aiuto di forze esterne, come l’Italia di Cavour grazie alla Francia di Napoleone III. Dimenticano che la condizione di un governo pacifico del mondo è che gli Stati possano cooperare e che, per cooperare, debbono innanzitutto esistere, avere un potere pubblico centrale, non consistere soltanto di territori non governati. Tralasciano l’obbligo morale di tutti gli Stati di considerare le condizioni nelle quali vivono i propri vicini.
L’Unione Europea ha un problema aggiuntivo, che dipende dal fatto che gran parte di questi Stati deboli o inesistenti sta nell’Africa centrale e nel Vicino Oriente, cioè in zone non lontane. Quindi, ha una responsabilità maggiore (e un maggiore interesse) a darsi carico della promozione di costruzioni statali in questi Paesi. L’Unione Europea, così come le Nazioni Unite, incontra, però, difficoltà che rendono inefficaci i propri buoni propositi. Si sommano disunione interna, derivante dalla diversità degli obiettivi e delle priorità; assenza di un chiaro mandato degli Stati membri ad affrontare questo tipo di materie; difficoltà nei rapporti con le maggiori potenze mondiali; poca voce nell’Onu, dove l’Unione Europea continua a presentarsi divisa; difficoltà finanziarie.