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 2016  agosto 04 Giovedì calendario

Ci siamo dimenticati del referendum (per fortuna)

 L’inquietante vicenda del pachistano sospetto terrorista che era stato capitano della nostra nazionale giovanile di cricket s’intreccia con le cronache della guerra aerea contro l’Is in Libia. In entrambi i casi l’Italia è coinvolta. L’uso di Sigonella ci spinge in prima linea e poco importa se gli aerei che decollano dalla grande base sono americani e non italiani. La memoria corre a più di trent’anni fa, al dirottamento dell’Achille Lauro e alla drammatica frattura nei rapporti fra Italia e Stati Uniti che si consumò in una notte proprio a Sigonella. Oggi lo scenario è tutt’altro. Ma il patto Roma-Washington, pur obbligato, espone il governo Renzi a qualche rischio, nell’estate del terrorismo diffuso e con un Parlamento nervoso che attende di essere informato. Si capisce che questo è il passaggio cruciale da cui dipende la tenuta dell’equilibrio su cui si regge il premier e la sua maggioranza. Un passaggio reso ancora più insidioso dalle aspre e arroganti critiche mosse da Erdogan all’Italia.
All’improvviso il referendum costituzionale di novembre sembra passare in secondo piano. O forse si dovrebbe dire terzo piano, perché dopo la guerra nel Mediterraneo, nella scala delle priorità, si deve calcolare la crisi bancaria: l’altro tema che turba i pensieri degli italiani e può determinarne i livelli di consenso o di insofferenza verso chi detiene le leve del governo. S’intende che il referendum mantiene la sua rilevanza. Quello che non si può fare è prevedere oggi tutte le conseguenze del voto. Troppe variabili sono ancora da chiarire, al di là della discriminante Sì-No.
Ad esempio, un’eventuale affermazione del No potrebbe non avere le apocalittiche conseguenze nei rapporti con l’Unione che una certa propaganda dà oggi per certe. Dipende anche da altri fattori.
È almeno altrettanto importante, ai fini della stabilità, che il governo di Roma esca senza danni dal conflitto in Libia e riesca a padroneggiare la crisi delle banche. Certo, l’esito del referendum sarà soppesato con attenzione nelle varie cancellerie, ma insieme ad esso saranno valutate le condizioni in cui Roma arriverà a definire le linee della legge di stabilità al termine di un’estate carica di tensioni e di eventi imprevisti.
Amaggior ragione, resta indecifrabile il quadro post- referendario. Una certa vulgata avversa a Renzi suggerisce che la vittoria del Sì sarebbe usata come un grimaldello dal premier per regolare i conti e avviare una fase di governo personale. In realtà anche in questo caso vale la prudenza. Una vittoria magari striminzita nelle urne potrebbe non essere significativa se nel frattempo la situazione internazionale fosse peggiorata. Non si deve dimenticare che prima del nostro referendum si voterà in Austria per la seconda volta, in Ungheria nel plebiscito anti-immigrati e soprattutto negli Stati Uniti. Prima di decidere quali saranno le conseguenze del referendum nel recinto domestico, occorrerà alzare gli occhi sul mondo.
Allo stesso modo è prematuro stabilire oggi se e quanto le future elezioni politiche saranno legate all’esito referendario. Non solo per la banale considerazione che il Parlamento viene sciolto dal capo dello Stato e non dal presidente del Consiglio, ma anche perché bisogna capire chi avrà interesse al voto anticipato. I Cinque Stelle, senza dubbio. E gli altri? Renzi a certe condizioni (una vittoria nelle urne), tuttavia vale per lui quello che si è detto. La crisi nel Mediterraneo, il possibile cambio di scenario negli Usa, le banche: devono ancora succedere molte cose prima che la nebbia si diradi. L’autunno inoltrato potrebbe essere la stagione che impone a tutti un nuovo senso di responsabilità, anziché favorire iniziative spregiudicate. Il fatto che gli anti-renziani del Pd vogliano tenere il premier al suo posto in caso di sconfitta, non stupisce: avrebbero finalmente la possibilità di condizionarlo. Né meraviglia che il centrodestra in ristrutturazione sogni le “larghe intese” invece delle urne. Ognuno pensa di avere delle carte in mano, ma la vera partita non è ancora cominciata.