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 2016  agosto 04 Giovedì calendario

La metà dei beni sequestrati ai boss resta inutilizzata

Dopo 24 anni la pizzeria Wall Street di Lecco è ancora chiusa. Era il bunker di Franco Coco Trovato, boss della ’ndrangheta. Arrestato, condannato all’ergastolo, gli sono stati confiscati i beni, tra cui la pizzeria, che diventa una storia esemplare della burocrazia italica. Nel 1992 il locale viene sequestrato, nel 1994 confiscato provvisoriamente, nel 1996 la confisca diventa definitiva, nel 1999 il Comune ne chiede la concessione, nel 2006 avviene il passaggio di proprietà, nel 2008 il Comune si accorge di non avere i soldi per la ristrutturazione, nel 2009 la prefettura chiede al Comune e ottiene la disponibilità della pizzeria per adibirla ad archivio provvisorio e in cambio dà un altro locale confiscato alla mafia, nel 2011 Libera chiede di poterla gestire, nel 2013 arriva l’ok dell’Anbsc, l’agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata, nel 2014 la prefettura trasloca l’archivio e consegna i locali, nel 2015 incominciano i lavori. Forse il prossimo dicembre, passati 24 anni, la pizzeria dovrebbe riaprire, gestita da Libera.
Un altro esempio. Palazzo Teti Maffuccini, a Santa Maria Capua Vetere (Caserta), sequestrato nel 1996,viene affidato nel 1998 al Comune che per 12 anni non se ne cura, lasciandolo andare in rovina, nel 2010 è inoltrata all’Unione europea la richiesta di un finanziamento per la sua ristrutturazione in modo da poterlo riutilizzare con finalità pubbliche, la risposta è positiva e vengono stanziati 3 milioni di euro che però debbono essere spesi entro il 31 dicembre 2015. Si procede all’appalto ma la direzione antimafia di Napoli lo blocca perché ipotizza che la camorra abbia messo le mani sui lavori e su quei soldi. Arriva il 31 dicembre 2015 senza che vi siano i cantieri aperti e il finanziamento Ue è perso. Il palazzo, che ospitò anche Giuseppe Garibaldi, è ancora lì, fatiscente, in attesa di eventi.
La confisca dei beni è un’arma essenziale nella lotta alla criminalità. Ma occorrono procedure certe e veloci per la loro riutilizzazione. Troppi sono i casi di negligenza, come a Licata (Agrigento) dove i beni confiscati sono dodici e la quasi totalità risulta inutilizzata e abbandonata. L’Anbsc ha censito 11.238 immobili e 1.708 aziende sequestrate e che potrebbero essere riconsegnate alla collettività. Invece in molti casi sono un costo per la finanza pubblica: almeno la metà di questi beni giacciono inutilizzati. In particolare manca una soluzione (legislativa?) a un problema ricorrente: sul bene il proprietario può avere contrattato un’ipoteca con una banca.
Lo Stato si trova così in una singolare situazione: da un lato confisca il bene, dall’altro deve pagarne gran parte del valore alla banca per estinguere l’ipoteca. Non solo. Durante la fase processuale accade spesso che nessuno paghi le rate dei mutui accesi dai mafiosi con la conseguenza che con il tempo crescono gli interessi di mora. Si tratta di altri soldi che lo Stato deve versare alle banche per acquisire la proprietà dei beni sequestrati. Insomma, la finanza pubblica invece di guadagnarci, paga. Come nel caso di una villa sull’Appia antica, a Roma, confiscata a un esponente della Banda della Marranella (erede della Magliana). Il bene è stato confiscato solo per due terzi ed è indivisibile, così la moglie è rimasta ad abitarci. Tutte le spese della villa, comprese quelle di gestione straordinaria, sono a carico dell’Agenzia delle entrate. E la signora ringrazia.
Poi ci sono pastoie burocratiche denunciate dallo stesso direttore dell’Anbsc, Giuseppe Caruso, senza per altro che né il presidente del consiglio, né i ministeri competenti, né il parlamento siano finora intervenuti. Per esempio, Caruso rivela:»In pieno centro a Napoli, ho un piccolo magazzino confiscato all’interno di un ristorante di persone perbene. Il Comune non sa cosa farsene, il ristoratore lo pagherebbe a peso d’oro perché gli serve, ma io non posso vendere al privato e noi teniamo un bene che mi fa statistica e che non posso destinare». Concorda Libera, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti, tra le più attive nel richiedere la gestione dei beni sequestrati: «Senza fondi- dice il referente ligure dell’associazione, Stefano Busi -la legge Antimafia è una scatola vuota e rischiamo di rimanere bloccati come nel caso degli appartamenti e immobili confiscati ai mafiosi a Genova, a due anni dalla confisca definitiva si è mosso pochissimo».
A Genova gli immobili confiscati e censiti da Libera sono 115 mentre a Palermo sono in attesa di una destinazione 530 immobili. Anche la Corte dei conti è intervenuta sulla questione: «L’analisi istruttoria ha evidenziato la presenza di risorse ancora in sequestro, alcune risalenti addirittura a 30-35 anni addietro, per le quali non risultano intervenuti o comunicati successivi provvedimenti definitivi di confisca, restituzione o devoluzione allo Stato». Mentre secondo un dossier redatto da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare «lo spreco causato dal mancato utilizzo dei beni confiscati alle mafie (un immobile su cinque è nel settore agroalimentare) è compreso tra i 20 e i 25 miliardi di euro», considerando anche il mancato fatturato.
Un gruppo di lavoro formato da Fondazione per il Sud, Forum del Terzo settore, alcune fondazioni bancarie e Nomisma ha elaborato una proposta per superare l’impasse: al posto dell’Anbsc dovrebbe essere costituito un ente con sede a Roma con pieni poteri per gestire lo stock di risorse derivanti dalle confische e dai sequestri e raggiungere un pieno equilibrio economico e finanziario. È inoltre prevista la costituzione del Fondo Beni Confiscati, alimentato dalle risorse provenienti dai provvedimenti di sequestro e di confisca, dalla vendita di beni immobili e da proventi finanziari derivanti da investimenti del patrimonio. Le risorse del Fondo andrebbero poi impiegate per diverse attività, tra cui il sostegno ai familiari di vittime della mafia.
Qualcosa si muoverà? Nell’occhio del ciclone viene a trovarsi proprio l’Anbsc, creata nel 2010 con sede a Reggio Calabria, in realtà ha uffici operativi a Roma, dove paga 295.000 euro all’anno di affitti, pur avendo beni confiscati vuoti. Intanto si stanno muovendo le Regioni. Il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, e la sindaca di Roma, Virginia Raggi, hanno firmato (insieme a Procura, Associazione bancaria, sindacati, Libera) un protocollo d’intesa affinché i beni trovino una loro rapida collocazione. «Questa firma- dice la Raggi- non è un mero atto formale». Aggiunge Zingaretti: «A ottobre uscirà un bando per 750 mila euro rivolto ai Comuni che intendono avviare servizi riconvertendo beni sequestrati. Poi lavoreremo affinché in tutti i bandi della nuova programmazione europea, per quei progetti che contengono beni sequestrati scatti una premialità. È una novità culturale: converrà, e molto, combattere la mafia».