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 2016  agosto 04 Giovedì calendario

Stefano Massini e Luca Ronconi, storia di un allievo e di un maestro

Il tema del rapporto maestro-allievo è gravoso o lieve? Pesante o delicato? Cupo o solare? La domanda esige una risposta sfaccettata. Perché la trasmissione della conoscenza è costruzione del futuro. Perché un modello alto rischia l’irraggiungibilità, dunque può causare frustrazioni. Perché la relazione è tonda e il maestro attinge dall’allievo, oltre che viceversa. Perché l’incontro può trasformarsi in scontro, se irrompono i demoni del vampirismo e dell’invidia. Il vero saggio non si pone come un grande, recita un detto Zen, eppure molti saggi o presunti tali sono megalomani e narcisi. Nel nostro viaggio in questo territorio può essere utile partire dal teatro, campo supremo di mimesi e contagio. «Il segreto dell’insegnamento ha a che fare col teatro», scrisse Ezra Pound. «Imitate semplicemente il miglior professore che avete conosciuto».
Stefano Massini, lei è d’accordo?
«Per quanto riguarda Luca Ronconi, c’era in lui qualcosa di peculiare e non imitabile», replica il giovane drammaturgo che Ronconi ha lanciato, e che ora ha assunto il posto del maestro alla guida del Piccolo Teatro di Milano. «Aveva un fascino che supera le declinazioni del termine fascino: un concentrato di magnetismo», sottolinea il regista nato a Firenze nel ’75. «Il dono del maestro sta nel comunicare agli altri di avere molto da dire».
Cosa “diceva” in particolare Ronconi?
«Al di là dell’agiografia, sorprendeva per la sua abilità nell’indagare mille argomenti con competenza: biologia, matematica, economia, sociologia… Possedeva la curiositas latina, pietra angolare di ogni saggezza. Non settaria, non di genere. Disponeva di una chiave multipla d’accesso agli ingranaggi del mondo, di cui il teatro è un canto rapsodico. Non sei un maestro se non guardi il sistema che gira intorno a quanto stai realizzando. C’era poi il suo pragmatismo».
Aveva una visione concreta del lavoro?
«Fattiva, artigianale. E ludica. Un giorno, quand’ero suo assistente, passò a salutarlo Mariangela Melato mentre erano in corso delle prove al Teatro Studio. Lei sostava dietro una porta affacciata sullo spazio scenico. Quando Luca le fu accanto si voltò e vide la scena da quel punto. Allora abbozzò su un foglio la forma di un arco col pubblico situato nella sua stessa prospettiva. Dandomi il disegno disse: conservalo, servirà. Non buttava via nulla, come i bambini che giocano. Era meravigliosamente infantile anche nella perenne capacità di stupirsi».
Vi conosceste molto tempo fa?
«Avevo 24 anni, e per il servizio civile mi offrii come assistente volontario alla regia. Mi appassionavano gli studi teatrali e avevo recitato in piccole compagnie. Il Maggio Musicale Fiorentino mi prese, e mi capitò d’assistere alle prove di Ronconi per l’Incoro-nazione di Poppea. Dopo venni scelto al Piccolo come suo assistente in Phoenix, che raccontava la vecchiaia di Casanova. Ronconi m’incaricò di tenere un “diario di bordo”, così lo definì, prendendo appunti sulle prove. Scrissi moltissimo applicandomi ai rapporti emotivi interni alla troupe, e ne emerse una specie di opera epica. Questo testo non mi serve a niente, disse lui quando lo lesse, però è bello. Hai mai provato a scrivere per il teatro? Da lì per me cominciò tutto».
Un tutto che equivale alla fisionomia globale e prestigiosa conquistata da Massini, vincitore di una raffica di premi, artefice di significativi pezzi di non fiction (il suo Donna non rieducabile, sulla storia di Anna Politkovskaja, è stato un caso politico nell’Europa dell’Est) e autore della Lehman Trilogy, che narra l’ascesa e la caduta della Lehman Brothers. Nel periodo antecedente alla sua scomparsa (2015), Ronconi scelse di dirigere questo play già applaudito in Francia e di cui Sam Mendes ha acquisito di recente i diritti per la versione inglese.
«Comunque, già prima della Lehman Trilogy, ci eravamo rivisti spesso», riferisce Massini. «Nel 2004 lo avevo incontrato per caso a Firenze, dove stava lavorando al Falstaff. Vestito al solito di bianco, portava a spasso il suo enorme cane Berta. Adorava i cani, un amore che condivido. Quando mi vide disse: ah, il diario di bordo. Il giorno dopo andammo in un parco per far giocare Berta: rendere felice il cane significava dare gioia a Luca. Mi travolgeva e catturava la sua conversazione ».
Con l’allestimento della “Lehman Trilogy” vi ritrovaste in un rapporto paritario.
«Finita la scrittura di quel lavoro glielo avevo mandato dicendo, più che altro per fargli piacere: l’unico che potrebbe metterci le mani sei tu. Rispose invitandomi ad accettare il suo interesse per il testo. Quando partì l’impresa che avrebbe debuttato al Piccolo, lavorammo insieme per un anno nella sua casa di campagna in Umbria e a Milano. Collaborazione per me memorabile».
Sembra che Ronconi fosse d’indole fredda, talvolta spietata.
«Era complesso nei rapporti umani e poteva usare l’intelligenza per ferire. Come l’energia atomica, aveva un doppio aspetto: edificava o distruggeva».
Con crudeltà?
«Ma no, in lui non c’era cattiveria. Solo che, essendo rapidissimo nel passaggio dall’idea alla resa, non ammetteva tempi diversi né tollerava d’essere obbligato a restare sui rami bassi. Correva forte e l’attesa dei passi altrui lo irritava. Per lo stesso motivo, parlando, certe volte accumulava, troncava o sovrapponeva gli elementi del discorso in modo caotico, quasi da balbuziente. Come se non riuscisse a infilarci dentro la sua tremenda velocità e il suo sapere sterminato».
Secondo lei chi è il buon maestro?
«Chi non è avaro della propria conoscenza. Non che il maestro sia sempre consapevole, anzi: può essere schivo o refrattario. Ma di base ha bisogno di condividere con l’umanità la sua visione del mondo. In Luca c’era una voglia matta di comunicare. Per l’avvio della Lehman Trilogy rimase dietro le quinte col mio cane Brownie, facendo in pratica il dog-sitter. All’intervallo andai ad avvertirlo che gli spettatori avevano riso, il che mi sconcertava. Tutto contento esclamò: vuol dire che ci stanno! Cercava un rapporto intenso e diretto con il pubblico. Altro che cerebrale».