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 2016  agosto 04 Giovedì calendario

Dalla Svizzera all’Australia, così la mafia sta conquistando il mondo

«Qui chi vuole lavorare può lavorare», dice un padrino dell’ndrangheta seduto al tavolo di un elegante ristorante di Frauenfeld, Svizzera. «C’è lavoro su tutto: estorsioni, coca, eroina, tutto c’è…10, 20 chili al giorno ve li porto io, personalmente». Eccolo, il nuovo manifesto dell’internazionale mafiosa. A declamare il catalogo delle opportunità è Antonio Nesci: uno stimato imprenditore calabrese che gestiva un “locale” di ‘ndrangheta con 18 affiliati, tutti immigrati modello, sempre puntuali alla messa della domenica.
Sono il simbolo delle mafie italiane che hanno dato l’assalto all’Europa, agli Stati Uniti, al Sud America, persino all’Australia. La relazione semestrale inviata al Parlamento dalla Direzione investigativa antimafia scatta l’ultima fotografia degli affari delle cosche. Un atlante delle mafie che hanno scelto di investire lontano dalle regioni d’origine per evitare arresti e sequestri. E con internet, i clan sono sempre più globalizzati. I nuovi canali passano attraverso il deep web, la parte più nascosta della rete. Basta un clic, per spostare capitali, muovere partite di droga o finanziare scommesse milionarie.
CORSA ALL’ESTERO
«È ormai la mafia degli affari», dice il direttore della Dia, il generale Nunzio Ferla. Dietro gli investimenti all’estero, ci sono manager spesso insospettabili. La ’ndrangheta, che ha già messo radici in 19 comuni della Lombardia, tende «a riprodurre strutture criminali analoghe a quelle calabresi in Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera, Olanda, Penisola iberica e Austria».
I boss siciliani preferiscono invece restare a casa e mandare i loro broker ad aprire società e conti bancari tra Svizzera, Lussemburgo e Gran Bretagna. Manager che sembrano invisibili, proprio come l’ultimo grande padrino di Cosa nostra, l’imprendibile Matteo Messina Denaro: nei mesi scorsi, i pm di Palermo hanno cercato, invano, il bancomat della sua latitanza in alcune società di Lugano.
I camorristi, che in patria si fanno la guerra, all’estero hanno trovato «una forma di coesione trasversale» benedetta dai soldi. Anche se poi fanno la bella vita, e non lo nascondono, fra Olanda, Spagna e Francia. Come i calabresi, sono in costante contatto con i narcos sudamericani per importare fiumi di cocaina. Nel 2011, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha inserito la camorra fra le quattro organizzazioni criminali più pericolose al mondo. Anche questo ricorda la Dia: i clan campani al pari di Yakuza giapponese, Los Zetas messicana e The Brothers Circle russa. Anche grazie ai traffici di merce contraffatta. L’Fbi ha “censito” negli States 200 affiliati alla camorra, molti sono scappati dalle faide. La Sacra corona pugliese invece ha messo radici in Albania, considerato il «punto di smistamento per l’Europa» delle sigarette di contrabbando e dell’eroina proveniente dall’Afghanistan.
CLAN “CAMALEONTI”
«Le organizzazioni criminali – avverte la Dia – sono diventate straordinariamente abili ad adattarsi nei diversi ambiti territoriali». E la risposta all’estero qual è? Un recente rapporto inviato dalla Dia alla Commissione parlamentare antimafia ricorda che «all’assemblea di Strasburgo si invocano da più parti misure di contrasto e prevenzione patrimoniale omogenee e reciprocamente riconosciute da tutti gli stati membri». Ma si è fatto ben poco. «A queste dichiarazioni di intenti continuano a non corrispondere adeguate risposte normative», dice il generale Ferla: «L’attuale disomogeneità legislativa esistente fra i vari paesi europei favorisce l’infiltrazione delle mafie nel mondo dell’economia e della finanza. Anche oltre l’Europa».
LE NUOVE MAFIE
Ma nel mondo del crimine globalizzato anche l’Italia rischia di diventare terra di conquista per gruppi criminali di altre etnie, soprattutto in un momento storico caratterizzato «da fatti di portata epocale come immigrazione e terrorismo». Gli 007 della Dia segnalano il salto di qualità dei clan albanesi, passati da rapine e droga a «più qualificate strategie criminali», la «crescente importanza delle formazioni centro-africane» e l’«intraprendenza» delle bande cinesi, attive soprattutto in Lombardia. Preoccupano anche le rapine messe a segno «con tecniche di assalto militare» da banditi georgiani, ed è allarme per i gruppi di sudamericani e a Milano e in Liguria, dove le “pandillas” «reclutano anche giovani nordafricani e i italiani ai quali vengono imposti riti di affiliazione e prove di coraggio particolarmente cruenti» Vecchi riti che resistono, nell’era delle mafie 2.0.