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 2016  agosto 04 Giovedì calendario

Lo strano caso dell’India: un miliardo di persone e pochissime medaglie olimpiche

Il bello delle Olimpiadi è un Leicester ogni quattro anni. Anzi, anche più di uno. Non importa quanto sei grande, quanti abitanti e quanti soldi hai, ci sarà sempre un piccolo che sa fare qualcosa meglio di te, che si alza al mattino e comincia a correre come le gazzelle, senza che nessuno riesca superarlo.
Il 6 agosto del 2012, al parco Olimpico di Londra, Kirani James diventa il primo atleta non statunitense a correre i 400 metri sotto i 45 secondi ma soprattutto vince la prima medaglia, e anche d’oro, nella storia di Grenada. Michael Johnson, che nel giro di pista detiene un record ancora in piedi da ormai 17 anni, disse che il ragazzo caraibico aveva perso una occasione, perché i suoi limiti tecnici gli avevano impedito di infrangere il suo ormai venerabile primato. «Manca la scuola» spiegò alla Bbc con quel sorriso di soddisfazione che caratterizza i grandi campioni appena scampati al pericolo dell’oblìo.
Ma il giovane James poteva comunque accontentarsi. Grenada non aveva mai vinto una medaglia in otto partecipazioni. La prima e la seconda volta, Los Angeles 1984 e Seul 1988, si era presentata con un solo atleta. Negli anni la sua pattuglia è cresciuta fino ai dieci di Londra. Qui a Rio sono soltanto 6, 4 uomini e 2 donne. La scarsa rappresentanza olimpica riflette il numero di residenti sull’isola. Con l’oro di James, Grenada è diventata la primatista mondiale di medaglie pro capite. Una ogni 110.881 abitanti, cifra che identifica la popolazione totale. Più piccolo di così è difficile. Al secondo posto c’è la Giamaica, anch’essa baciata dal Dio dell’atletica, che a Londra portò a casa 12 medaglie, una ogni 225.485 abitanti. Segue Trinidad e Tobago, 4 medaglie, una ogni 329.428 anime. La prima nazione non caraibica è la Nuova Zelanda, quarta.
Ma è guardando la graduatoria a rovescio che si ottiene il dato più sorprendente. Ultima viene l’India. La seconda nazione più popolosa del mondo, quarta potenza econonica e futura terza entro il 2020 dopo Usa e Cina, detiene il peggior record olimpico per abitante. E non si tratta di una tendenza cominciata a Londra, dove anzi ha ottenuto il suo miglior risultato di sempre, 6 medaglie, la metà della Giamaica, da dividere tra un miliardo e 300 milioni di indiani. Negli ultimi 30 anni ha vinto un solo oro. E se al totale di 26 podi si sottraggono le 11 vittorie ottenute nell’hockey su prato tra il 1926 e il 1980, specialità della casa, il bilancio è ancora più misero per un Paese presente ai Giochi fin dalla seconda edizione, Parigi 1900.
A farla breve, nello sport l’India è scarsa da far paura. Lo testimoniano le sue damigelle di disonore, Indonesia ed Egitto, nazioni che certo non hanno un bacino d’utenza simile. Il comitato olimpico indiano, appena insediato a Rio al seguito della sua spedizione più numerosa di sempre, ammette che lo sport non è mai stato una priorità. Nel confronto con l’educazione scolastica ne è uscito ogni volta sconfitto. Meglio un dentista o un operatore di Borsa di un decatleta, la regola era questa. Nel 2000, il programma olimpico prevedeva meno investimenti di quello italiano e di altri Paesi che messi insieme non fanno una singola provincia indiana. Questa edizione segnerà una inversione di tendenza, hanno annunciato ieri i suoi dirigenti. Le aziende private ci hanno messo i soldi, sull’esempio di Australia e Regno Unito, setacciando il Paese alla ricerca dei migliori talenti. La selezione troverà i talenti naturali, come il Kirani James di Grenada. Ma per diventare una potenza sportiva serve la scuola. E quella non la si inventa in un giorno. E neppure in quattro anni.