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 2016  agosto 04 Giovedì calendario

Il villaggio delle bimbe stuprate di notte, in Congo

Non ci sono parole per descrivere l’incubo vissuto dagli abitanti di Kavumu, un poverissimo villaggio vicino alle rive del lago Kivu nell’est della già molto povera Repubblica Democratica del Congo. Qui per tre anni i miliziani hanno rapito e violentato 44 bambine tra i 18 mesi e gli 11 anni infliggendo loro ferite tali da far piangere i medici che dovevano curarle. «Quando operi una bambina con la vescica e il ventre distrutto non puoi fare a meno di pensare che non dovresti “cercare di riparare il danno” ma fare qualcosa per impedire che cose del genere avvengano» ha raccontato il dottor Denis Mukwege che lavora all’ospedale Panzi nella capitale Bukavu e che ha trattato tante piccole vittime.
Se l’orrore è finito e gli stupratori sono stati assicurati alla giustizia si deve solo alla determinazione delle attiviste per i diritti umani che, con coraggio e caparbietà, per tre anni, hanno chiesto alle autorità di non voltare la testa dall’altra parte. Una di queste è Lauren Wolfe, giornalista e direttrice del progetto Women’s under siege (Donne sotto assedio), che ha raccontato ieri sul Guardian l’intera storia.
Le bambine venivano portate via di notte dai loro letti mentre i genitori ignari dormivano sotto l’effetto di potenti narcotici. A Kavumu le serrature delle porte, se ci sono, sono fatte con due chiodi che reggono una sbarra di ferro. Parliamo di baracche di legno costruite alla meglio, spesso rappezzate con teli impermeabili. Le piccole venivano stuprate selvaggiamente e poi lasciate in un campo o riportate addirittura a casa. Due di loro sono morte e le altre porteranno i segni della violenza tutta la vita. «Non sappiamo se da grandi potranno avere una vita sessuale normale, se avranno le mestruazioni e dei bambini» ha raccontato al Guardian il dottor Neema Rukunghu.
Per tre anni a Kavumu non si è più dormito. Un padre ha passato mesi a fare la guardia alla porta dopo che sua figlia era stata rapita. Perché in alcuni casi gli stupratori tornavano una seconda volta. È accaduto a una ragazzina di 11 anni che è stata portata via nel marzo e nell’agosto del 2015. Le vittime, poi, venivano fatte oggetto di bullismo a scuola, additate come diverse e isolate.
Lo stupro è stato un’arma di guerra nella Repubblica Democratica del Congo per 20 anni tanto che nel 2009 il presidente Joseph Kabila, dopo molte resistenze, ha dovuto ammettere l’esistenza del problema e ha varato una politica di tolleranza zero verso la violenza sessuale. A parole. Perché le vittime nel Paese continuano ad aumentare: 15 mila nel 2015.
Ma un orrore come quello di Kavumu non si era mai visto. Eppure il governo ha latitato a lungo negando che ci fosse una relazione tra le diverse violenze nonostante i rapporti dell’Ong e delle Nazioni Unite. La rappresentante speciale del governo per la violenza sessuale, Jeanine Mabunda, ha visitato Kavumu soltanto nel marzo del 2015, due anni dopo il primo stupro.
Gli abitanti del villaggio dietro i rapimenti ci fosse qualche stregone perché nessuno le bambine venivano portate via. In un caso la polizia è arrivata sul luogo quando i parenti della vittima erano ancora addormentati. La polizia, invece, ha pensato a qualcuno che fosse esperto di erbe e pozioni dato che anche le piccole vittime venivano anestetizzate prima della violenza per non sentire il dolore. Nell’area ci sono diverse milizie locali che vengono chiamate Mai-Mai (letteralmente acqua-acqua) perché i loro uomini si drogano con delle pozioni che dovrebbero proteggerli dai proiettili e renderli invincibili. Il 24 giugno un deputato provinciale, Frederic Batumike, e 74 dei suoi combattenti sono stati arrestati. Sono accusati, oltre che delle violenze sessuali, di crimini contro l’umanità. «La milizia aveva assoldato un feticista che consigliava ai combattenti di violentare le bambine per ottenere una protezione sovrannaturale» ha detto il ministro della Giustizia, Alexis Thambwe Mwamba.