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 2016  agosto 04 Giovedì calendario

Ancora convinti che la tv faccia vincere le elezioni?

«Attenzione, domani dovrebbero uscire le nomine Rai»: è un rito, nei giornali, il previdente redattore che annuncia l’inevitabile infornata di nomine che nella Rai pubblica testimonia la presa di possesso della politica: quella, sbrigativa e concreta, che sposta direttori di telegiornali e radiogiornali, capistruttura, dirigenti di Rete, capi dipartimento. Di solito la scenetta sulle nomine Rai prevede che la ridislocazione avvenga in piena estate, perché quasi sempre le elezioni sanciscono il vincitore politico in primavera. Stavolta è diverso, perché nelle ultime elezioni non si è avuto un vero vincitore e infatti una precedente ondata di nomine di rete è piombata nei rigori dell’inverno, violando i bioritmi dell’informazione di routine. Ma il rito, quello vero e genuino, esige l’estate incandescente, e l’estate è arrivata. Puntuale. Inesorabile. Di destra, di sinistra, di centro, ma sempre ineluttabile. Di segno conservatore o, come in questo caso, rottamatore, ma la liturgia delle nomine prevede protocolli e cerimonie ineludibili. Come le polemiche che di norma seguono il rito. Come la politica e i partiti di riferimento che di norma, anzi tutte le volte, recitano la stessa formula autoassolutoria: «Noi non c’entriamo, hanno fatto tutto loro».
Il rito delle nomine Rai è abbastanza giovane, circa venticinque anni. Il tempo più o meno della Seconda Repubblica. Nella Prima, quando Alberto Ronchey coniò per la Rai il fortunato termine «lottizzazione», i criteri e la caselle erano molto chiari. Quando c’era l’Uno, c’erano i democristiani, con il Due i socialisti e con il Tre i comunisti, il resto distribuito tra i piccoli partiti secondo i metodi proporzionali consacrati dalla legge elettorale in vigore.
I problemi cominciano quando il sistema crolla e i partiti-cardine della Prima Repubblica sembrano dissolversi. Uno stato di sospensione che annebbia nella Rai le distinzioni e le consociazioni più tradizionali. Un primo tentativo di superare lo schema del passato si ha con la celebre «Rai dei professori»: una versione light delle nomine, profilo politico basso, competenze super partes, equilibrio esibito, e aria, appunto, professorale.
Ma quando il meccanismo dell’alternanza perfezionato con l’avvento della Seconda Repubblica prende piede, l’infornata delle nomine assume un carattere nevrotico, una smania di occupazione giustificata dal feticcio della par condicio. E il rito delle nomine Rai diventa qualcosa di superstizioso, una pratica culturale poggiata su un dogma cardine della rappresentazione che la politica e in particolare la sinistra hanno voluto dare delle vicende elettorali: l’idea, complice ovviamente l’irruzione di un tycoon della tv come Berlusconi, che fosse la televisione la grande chiave che determinava i destini politici della Nazione e che dunque il controllo della televisione, almeno di quella pubblica, foraggiata dal canone e controllata dai partiti, fosse indispensabile per vincere le elezioni. Un dogma, di cui le nomine Rai (con esterni di lusso calamitati dalla carta stampata, o con «professionalità interne» cioè di natura Rai indigena) non sono state che l’espressione rituale, anzi una certezza vissuta come un articolo di fede. Anche se regolarmente smentito dai fatti.
La Rai «dei professori» qualche inclinazione a sinistra ce l’aveva tuttavia: ma nel ’94 vinse Berlusconi. Arrivato al governo, Berlusconi berlusconizzò la Rai, con un giro di nomine che dai vertici alle direzioni è stato meticoloso. Risultato: le elezioni del ’96 sono vinte dallo schieramento opposto, cioè dal centrosinistra diretto da Romano Prodi. E che fa il centrosinistra di Prodi alla Rai? Rimette la giostra delle nomine rovesciando gli equilibri della stagione precedente e assicurandosi il controllo di Viale Mazzini. Risultato? Nelle elezioni del 2001 vince di nuovo Berlusconi. Il quale rimette la Rai sotto il suo controllo. Risultato? Il centrosinistra di Prodi vince le elezioni del 2006, sia pur con un margine molto ridotto. Nuovo valzer di nomine, più favorevoli allo schieramento di governo. Risultato? Nel 2008 le elezioni fanno sorridere di nuovo Berlusconi. Le nomine non portano bene. E se davvero, come si dice, il governo di Renzi ha molto bisogno di un’informazione Rai molto sbilanciata, per così dire, sulle ragioni del Sì al referendum costituzionale, sarebbe il caso che i nominanti ci facessero un pensierino. Anche perché nel frattempo il quadro politico su cui poggiava il rito delle nomine Rai si è molto complicato, frammentato, tripolarizzato, spezzettato. La lottizzazione diventa più ardua, anche se gli appetiti della politica e dei partiti non accennano a placarsi, anche nella stagione del nuovo e del ricambio generazionale. Il rito delle nomine estive alla Rai sembra una pratica implacabile, ma anche la storia delle elezioni che non danno mai ragione a chi se ne impossessa lo è. Tutta fatica sprecata?