Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 04 Giovedì calendario

Gli algoritmi, l’ultima frontiera della finanza hi-tech

Portano il nome di Aqr capital, BlackRock, Marshall Wace, solo per citarne alcuni, gli investitori che, in proprio o per conto terzi, hanno lavorato scommettendo sul ribasso dei titoli a Piazza Affari. È quanto emerge dalle comunicazioni alla Consob relative a martedì 2 agosto, giorno in cui l’indice Ftse Italia delle banche è sceso di circa il 5%. Hanno preso posizioni «short» grandi investitori, fondi hedge come Aqr capital, B&G Master fund, Ena investment e Oceanwood. Sono stati molto attivi sul Banco Popolare, Ubi Banca e Bper, tra gli istituti che hanno registrato le flessioni più significative. L’attivismo era iniziato il giorno prima: BlackRock su Ubi aveva potenziato la posizione «short» portandola dallo 0,6% allo 0,74%. Mosse analoghe sono giunte ancora da Marshal Wace, attivo anche su Unicredit, e da Aqr, che ha rivisto al rialzo la prospettiva ribassista sul Banco Popolare. Vari gli istituti coinvolti, tranne Mps sul quale è stato confermato il divieto Consob di operare allo scoperto. Ma chi c’è dietro l’ondata dei ribassi sulle banche – che ieri hanno tentato un rimbalzo con Mps in recupero dell’1,8% —, l’attività di short selling, le vendite allo scoperto dei titoli (ovvero senza possederli) da parte dei grandi investitori che contribuiscono a muovere i listini? In particolare quelli delle banche le cui azioni sono state tra le più scambiate? Sono i trader delle sale operative, ancora a caccia di rendimenti prima della pausa estiva. Ma in pochi scommettono da soli.
Nella grande maggioranza dei casi lo fanno affiancati dalla matematica, anzi, dagli algoritmi, l’ultima frontiera della finanza hi-tech che aiuta a individuare segnali sui mercati e occasioni di trading. Sono software che attraverso l’ausilio di formule intercettano tendenze che l’investitore non può captare. Gli algoritmi sono formule legate alla fisica, all’analisi tecnica e alla matematica pura. Danno la possibilità di analizzare un titolo da molteplici sfaccettature. Lo sanno bene a Wall Street dove alcune società hanno addirittura ingaggiato giovani talenti da Google. Sono tecniche utilizzate nel cosiddetto High frequency trading, una modalità di intervento sui mercati che si serve di sofisticati software con i quali mettere in atto negoziazioni ad alta frequenza che agiscono su azioni, opzioni, obbligazioni, derivati. Nelle piazze finanziarie anglosassoni muovono ormai tra il 60 e il 70% dei flussi, come certificato dai consulenti per il mercato dei capitali di Tabb group, e hanno il potere di amplificare movimenti al rialzo o al ribasso. In Europa il loro ruolo è meno incisivo ma sono comunque protagonisti di movimenti pari al 23-24% dei flussi globali, secondo l’ultimo rapporto disponibile dell’Esma, l’autorità Ue dei mercati.
Gli high-frequency trader comprano e vendono rapidamente, vivono di sequenze di manovre veloci, talvolta escono da una posizione prima ancora di esserci entrati, ma la sola intenzione di comprare un certo titolo basta a influenzare il mercato per un brevissimo lasso di tempo. Fino al 2008 e al crac della Lehman, gli Hft venivano utilizzati anche dalle grandi banche d’investimento. Ora non più. La nuova regolamentazione impone che le società scommettano con capitali propri: operano con tagli bassi, quasi come un investitore retail, e ragionano sulle asimmetrie del mercato. Fanno arbitraggi tra un mercato e l’altro. In meno di un secondo. Prendono posizione su un certo titolo e a certi valori prefissati, al rialzo o al ribasso, vendono o comprano. «Agiscono come un termostato, accendono o spengono un flusso e beneficiano dei bassi costi delle transazioni», spiega Federico Polese, ceo e investment manager dei fondi hedge di Simplify partners a Londra.
Ma i sistemi algoritmici sono ormai utilizzati anche dai grandi asset manager e qui però mancano i numeri ufficiali dei flussi che muovono. E sono sempre più spesso «algoritmi sistemici», possono cioè riguardare interi comparti, una zona valutaria o il listino di un Paese. Forse non determinano un andamento ma certo lo amplificano.