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 2016  agosto 04 Giovedì calendario

Era nazionale italiano di cricket il ragazzo pachistano che preparava un attentato a Orio al Serio

Il campione delle giovanili italiane di cricket, l’atleta modello negli allenamenti e negli incontri, il ragazzo serio e già maturo a diciassette anni (leader della squadra che volò in Belgio per gli Europei), posato, garbato, attento a riposarsi le sere della vigilia ed evitare ogni vizio per giocare al massimo e non deludere per primo se stesso, voleva punire l’Italia e gli italiani.
Voleva punire con attentati l’aeroporto di Orio al Serio, l’enoteca del paese dove abitava, i militari che incrociava in strada quando andava al lavoro, magazziniere al Decathlon di Basiano (Milano). Ma due mesi fa, quando l’attesa pratica per la cittadinanza italiana era pronta e gliel’avevano bloccata perché finito a sua insaputa sotto indagine, Aftab Farooq con gli amici aveva pianto. E aveva giurato che avrebbe combattuto una battaglia legale di ricorsi. Nello stesso periodo, il pachistano espulso lunedì aveva iniziato a pianificare un viaggio in Bosnia. Diretto nelle intenzioni in un campo d’addestramento dell’Isis al quale aveva già prestato giuramento. Era pronto per l’azione diretta, per il «martirio». Al termine d’un anno di indottrinamento via Internet e di contatti con nomi dell’integralismo e dei foreign fighter, non mancava che la preparazione fisica e militare.
Studi regolari, «con buoni voti», da geometra. Università, facoltà di Architettura abbandonata «a causa del poco denaro dei genitori», nel 2003 emigrati dal Kashmir a Vaprio d’Adda, ottomila abitanti a Est di Milano dove a sentire i residenti se ci sono problemi con i migranti, sono quelli con gli slavi predoni delle ville. Casa anonima in una vecchia corte, appartamento prestato da un italiano, una quotidianità qualunque. O almeno in apparenza. O almeno fino all’estate del 2015. L’estate dell’attentato di Sousse, in Tunisia, il 23enne Seiffedine Rezgui – ugualmente universitario, integrato, «moderno» – che aveva sparato sulla spiaggia dei turisti. Anche allora come adesso, le famiglie dei ragazzi non si erano accorte della feroce radicalizzazione.
In Tunisia Rezgui non fu anticipato. Qui sì. I carabinieri di Vaprio D’Adda, sensibilizzati dal Comando provinciale a osservare qualunque «variazione» sul territorio, avevano cominciato a seguire Aftab. La barba lasciata crescere, certo. Un indizio non per forza decisivo. Era stato il comportamento, che aveva insospettito. Cercava gente per sfogarsi contro l’Occidente e giustificare gli attentati di Parigi. Dalla stazione dell’Arma, il fascicolo era passato al Nucleo informativo e al Ros di Milano comandato dal tenente colonnello Paolo Storoni. E s’era subito aperto un mondo dal quale il pachistano voleva tenere (quasi) tutti fuori. Ore in solitudine sul computer. La ricerca di immagini sulle esercitazioni di tiro, di annunci di annientamento degli «infedeli». E le chat criptate. Le «conversazioni» con Madi El Halili (l’autore del primo documento in italiano di propaganda dell’Isis) e con l’albanese Ibrahim Bledar. Rimpatriato a marzo, Bledar è è il collegamento tra Aftab e Maria Giulia Sergio, l’italiana andata a combattere con il Califfo; è lui che potrebbe aver «innescato» altri ragazzi, magari ancora sottotraccia in una Lombardia che si scopre in difficoltà. Specie nei paesi di provincia dove teoricamente si convive in relativa pace senza le insidie della metropoli.
Chi è Aftab Farooq? Sgobbone al Decathlon nell’incredulità dei colleghi e cittadino modello a Vaprio d’Adda dove non hanno idea delle botte quotidiane alla moglie, delle pressioni affinché indossasse il burqa, del tentativo ossessivo di arruolarla nel suo jihad. Un giramondo, il pachistano, ora chissà dove a Islamabad per il terrore della famiglia. Nel pc, le tracce delle chat sui «consigli di viaggio» quando stava pianificando una trasferta in Turchia. Sempre biglietti di andata e ritorno e prenotazioni sul territorio in diversi alberghi. Questo per sembrare un vacanziere qualunque e non uno destinato alla Siria. Per abbracciare i suoi idoli. I soldati dell’Isis.