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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

Truvada, approvata la pillola anti-Hiv (ma pare che faccia più male che bene)

Si chiama Truvada, è un farmaco antiretrovirale (cioè combatte la riproduzione del virus) e serve per prevenire il contagio dell’Hiv. Non solo: da una manciata di giorni è stato «autorizzato» dal comitato dell’Ema, l’agenzia del farmaco targata Bruxelles. Intendiamoci: si tratta solo di un primo passo, ora la pratica finirà sulla scrivania della Commissione Europea che dovrà approvarne l’adozione formale. Ma un’apertura verso il via libera, certo, c’è.
L’Ema infatti ha chiesto di estendere anche in Europa la somministrazione di Truvada, la cui terapia, tra l’altro, è già presente in altri Paesi come gli Stati Uniti. E non senza risultati: diversi studi scientifici hanno, negli ultimi mesi, sottolineato che il farmaco in questione è in grado di ridurre notevolmente il pericolo di contagio sulle persone non infette appartenenti a determinate categorie di «soggetti a rischio». Leggi: personale medico, ma anche omosessuali e transgender, e pure eterosessuali che hanno un partner sieropositivo. «Questa decisione lascia una serie di dubbi», commenta Gianmarino Vidoni, direttore del Centro di riferimento Hiv e delle Malattie sessualmente trasmissibili dell’Ats di Milano: «Ben vengano tutte le terapie che possono aiutare chi soffre, ma dobbiamo capire che questa cultura di “una pillola per tutto” non è la strategia migliore per affrontare i problemi». Della serie: «Il Truvada protegge dall’Aids, ma non dalle altre malattie che possono nascere da un rapporto sessuale non protetto, come sifilide, gonorrea o epatite. Non vorrei che, pensando a una copertura in questo senso, si perdano di vista gli altri rischi. Oggi l’uso del profilattico è sempre più raro e sono in aumento le altre patologie». Dello stesso avviso è anche il professor Enrico Garaci, presidente del Comitato tecnico scientifico dell’Irccs San Raffaele Pisana: «Gli studi che sono stati fatti su questo farmaco parlano di un’efficacia anche elevata, ma che non vale per tutti. Nelle donne è, in genere, più bassa.
Quello che preoccupa è la valutazione sociale: il rischio, in altri termini, è che con un certo senso di protezione possa venir meno la prevenzione di altre malattie. E il sistema di cura non deve mai sostituire quello della prevenzione». La strada verso la commercializzazione del Truvada è ancora lunga e qualsiasi aiuto della scienza, in questi casi, è da incoraggiare. L’Ue dovrà discutere aspetti tecnici (come quello della rimborsabilità) e i singoli Stati membri dovranno accordare le proprie legislazioni nazionali. Per esempio: in Italia un medicinale antiretrovirale oggi può essere prescritto solo da un infettivologo. Eppure l’attenzione rimane alta: nel nostro Paese circa 3.600 persone contraggono il virus ogni anno (sono per lo più giovani tra 35 e 50 anni). «La cura con Truvada non è una passeggiata. Medicinali come questo vanno presi sotto controllo medico, eseguendo esami del sangue ogni sei mesi». Come a dire: è sempre meglio prevenire.