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 2016  luglio 26 Martedì calendario

Breve storia di Roberto Mancini e della sua ossessione

Ha sempre voluto stare nella stanza dei bottoni. Anche quando disegnava magie in campo e avrebbe potuto godersi la vita del calciatore. Mancio è nato comandante. Forte di una competenza che gli è riconosciuta da tutti. La sua carriera da giocatore-allenatore inizia nell’estate del 1982, nella Samp di Mantovani. Lui diventa subito il figlioccio del presidente. Vialli è il bomber ma Roberto Mancini è qualcosa di più. È la Sampdoria. In campo è un artista. Ma non si accontenta. È lui che suggerisce i nomi da acquistare. E li presenta raccontandoli nei dettagli. Più preciso e pignolo di qualsiasi osservatore. Mantovani lo ascolta e lo accontenta. Sempre. Anche quando gli chiede di puntare su Mikhailichenko o quando lo obbliga a rinnovare il contratto, con una firma su un tovagliolo del ristorante, a Cerezo. Mancio ne sbaglia pochi di «colpi». E la Samp vive un ciclo irripetibile. La favola Doria, con tanto di scudetto.
NELLA CAPITALE Nel 1997 passa alla Lazio. Con Cragnotti è la stessa storia. Lui propone e il patron compra. Roby si porta dietro mezza Samp (Veron, Lombardo e Mihajlovic) e in panchina c’è un altro allenatore-amico. Dopo Boskov stavolta tocca a Eriksson. Un altro tecnico abituato ad ascoltare i suggerimenti di chi vive dentro lo spogliatoio da leader. Mancio è un giocatore diverso. Discute anche delle metodologie di allenamento. E in campo fa la differenza. Dopo la favola Samp, arriva il ciclo Lazio. Roberto segna di tacco, in certe partite è a livelli da Pallone d’Oro e conquista un altro scudetto. Pure questo storico, nel 1999-2000. Stagione in cui il club capitolino compie cento anni. Nonostante avesse annunciato il ritiro dall’attività agonistica nell’estate del 2000 Mancio si concede ancora qualche partita e qualche gol nel Leicester, in Inghilterra. In realtà è una «fuga» per prendere tempo. Per capire quale ruolo voleva interpretare per continuare a vincere nel calcio. Già, vincere. La sua ossessione. Se avesse potuto cucirsi un abito su misura Robi probabilmente avrebbe voluto diventare il Boniperti del nuovo millennio. Cioè un padre-padrone in giacca e cravatta.
IN PANCHINA Ma, alla fine, deve accontentarsi di fare il tecnico e accetta l’offerta della Fiorentina di Cecchi Gori. Un matrimonio che scatena la reazione dell’associazione allenatori che contesta l’ingaggio del Mancio. Dibattiti, polemiche. Una storia che si ripete e che si ripeterà anche in futuro. Robi divide. Ha sempre diviso. Ma lui riesce a farsi scivolare tutto addosso. Le sue certezze sono più forti di qualsiasi ostacolo, di qualsiasi critica. La Fiorentina è un pianeta in ebollizione. Cecchi Gori è un padrone ingestibile. Il Mancio riesce comunque a vincere la Coppa Italia. L’11 gennaio del 2002 però anche lui si arrende. Aveva capito che non c’era futuro e infatti pochi mesi dopo la Fiorentina fallirà ripartendo dalla C2. Il ghiaccio è rotto. Robi inizia una nuova carriera. Con la stessa fame di vittorie e con la stessa voglia di incidere. Se in Inghilterra l’allenatore manager è una consuetudine, in Italia è qualcosa di rivoluzionario. Mancio torna in una Lazio travolta dai problemi di Cragnotti. Lui recita quasi tutte le parti in commedia. E tiene in piedi una delle squadre del cuore. Convincendo tutti di essere un fuoriclasse anche seduto in panchina.
LA PRIMA INTER Moratti lo porta all’Inter. È il momento di Calciopoli. Una bufera. Ma il tecnico di Jesi sa navigare in tutte le acque. Spavaldo e sicuro come sempre. Nel 2006-07 vince il titolo con cinque giornate di anticipo e con una striscia di 17 successi consecutivi. Il problema è che Mancini vuole gestire tutto. Forse invade il territorio di Moratti che dopo l’eliminazione in Champions con il Liverpool lo esonera. Mancio studia, aspetta il momento per la rivincita. Occasione che arriva grazie ai soldi degli sceicchi che acquistano il Manchester City. Mancio vince la Premier. È un manager all’inglese. Decide acquisti e cessioni. Pretende un rapporto diretto e esclusivo con il proprietario. E quando il City ingaggia un d.s., Beguiristain, il buon Mancio se ne va.
E LA SECONDA Ed eccoci all’ultima tappa. Lasciando da parte il Galatasaray che lo stesso Mancio ha già cancellato dalla memoria. Ancora l’Inter. Con il nuovo corso Thohir. Robi torna nella sala dei bottoni. Decide tutto. Vuole vincere. Subito. Ma la fretta stavolta lo porta a fare scelte discutibili. E ora che sono arrivati i cinesi a lui viene chiesto «solo» di fare l’allenatore. Con Mancio non funziona. L’ossessione di essere il numero uno gli impedisce di fare il soldatino al servizio del generale. Così sale sulle barricate. Lui vuole di più. Niente di strano. È semplicemente la storia della sua vita.