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 2016  luglio 26 Martedì calendario

Putin è già un problema per Hillary

È Vladimir Putin il convitato di pietra alla Convention democratica, apertasi ieri nella città che fu la culla dell’indipendenza americana.
Lo scandalo delle 20 mila email, rubate dai computer del Democratic national committee (Dnc) e rese pubbliche da WikiLeaks, solleva il sospetto degli specialisti che dietro l’azione di pirateria informatica ci sia la manina del Cremlino, deciso a confondere i giochi della campagna presidenziale, seminando discordia nel campo progressista nella speranza di aiutare Donald Trump. E per quanto un coinvolgimento della Russia sia complicato da dimostrare e alcuni esperti si dicano scettici, è un fatto che il ruolo di Mosca sia stato tema centrale della conversazione nella prima giornata della kermesse, che giovedì porterà all’incoronazione di Hillary Clinton.
È la nuova pagina di quella che sempre più assomiglia a una Guerra Fredda 4.0, dove il legame con l’intelligence russa, ove fosse confermato, rappresenterebbe anche un salto di qualità. Mai, neppure nei momenti di più grave tensione tra Usa e Urss, la superpotenza sovietica agì segretamente in favore di un candidato alla Casa Bianca contro un altro: «Sarebbe la prima volta che Mosca cerca di influenzare la politica americana», dice l’ex sottosegretario al Pentagono, Michael G. Vickers.
Le email hanno rivelato che il Dnc, la direzione nazionale democratica, non è stato affatto imparziale nella stagione delle primarie, favorendo sfacciatamente la Clinton contro Bernie Sanders. La rivelazione è costata il posto a Debbie Wasserman Schultz, che ha annunciato le dimissioni da presidente del Dnc.
È stato Robby Mook, capo della campagna di Hillary, a puntare per primo il dito contro la Russia: «Gli esperti ci dicono che soggetti statali russi sono penetrati nei server del Dnc, hanno rubato le mail e le hanno rese pubbliche per dare una mano a Trump». Mosca, secondo Mook, avrebbe buone ragioni per sostenere il tycoon populista, che ha avuto parole di apprezzamento per Putin e di recente ha detto che da presidente ordinerebbe di intervenire a difesa di un Paese Nato sotto attacco della Russia, solo se questo fosse a posto con i contributi verso l’Alleanza.
Trump ha subito liquidato come una «barzelletta» lo scenario di una regia moscovita: «L’ultima è che la Russia ha fatto uscire le disastrose email del Dnc, che non avrebbero mai dovuto essere scritte, perché io piaccio a Putin. Stupidaggine. In realtà Hillary è la sola responsabile di questo scandalo perché la sua pessima capacità di giudizio è tale che una cosa del genere sia potuta accadere». Quanto al Cremlino, il portavoce Dmitry Peshkov ha detto a Reuters di «escludere del tutto che il governo russo o una delle sue strutture siano coinvolti».
Le tracce che farebbero risalire alla Russia sono in verità labili e non conclusive. La responsabilità dell’intrusione è stata rivendicata dagli hacker romeni di Guccifer2, che poi avrebbero riversato il materiale a Wikileaks. Ma secondo alcuni esperti è una manovra diversiva e il gruppo fungerebbe solo da copertura.
Il mese scorso il Washington Post aveva rivelato le conclusioni di un’indagine di CrowdStrike, specialista in sicurezza informatica, secondo cui due gruppi di hacker legati all’intelligence moscovita erano penetrati nei computer del Dnc. Uno dei due gruppi, identificato come Cozy Bear (orso amico) o Apt29, era nel sistema da quasi un anno; il secondo, denominato Fancy Bear, aveva violato i server democratici per la prima volta in aprile. Secondo il New York Times, il controspionaggio americano è convinto che entrambi gli «orsi» dipendano direttamente dal Gru, l’intelligence militare russa. Cozy Bear sarebbe una vecchia conoscenza di Fbi e Cia, per aver cercato in passato di forzare i sistemi del dipartimento di Stato e della Casa Bianca. Ma gli stessi investigatori Usa ammettono che l’operazione di eliminazione delle tracce elettroniche sia stata molto accurata, rendendo improbabile l’acquisizione di una prova definitiva.
Certo la pubblicazione delle mail in coincidenza con la Convention democratica non può essere casuale. Ne è un mistero che Mosca ritenga gli Stati Uniti registi occulti della pubblicazione dei Panama papers sui conti off-shore di molte celebrità, che hanno creato qualche imbarazzo a Putin. Per non parlare del fatto che i russi considerano una manovra tutta americana il tentativo di escluderli dalle Olimpiadi per il doping. Vista in questo contesto, la probabile «desinformazia» seminata in campagna elettorale, confermerebbe la nuova frontiera della guerra delle spie.