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 2016  luglio 23 Sabato calendario

Un giorno a Milano con Kobe Bryant

La sua stella non tramonterà mai. Milano ai suoi piedi, come per pochissimi altri eletti. Il tour meneghino porta Kobe Bryant nella sua seconda patria, alla quale starà ancora più vicino ora che si è ritirato. Negli uffici della Nike si mette a disposizione della stampa, col solito sorriso che conquista.
Kobe, la Mamba Mentality, i punti cardine del tuo modo di intendere lo sport, ha radici nel nostro Paese dove sei cresciuto?
«Certo, sono principi che ho imparato quando ero piccolo qui da voi. Mamba Mentality vuol dire che la cosa che stai facendo in quel momento è quella più importante, l’unica che conta. Devi essere totalmente focalizzato sull’obiettivo».
Kyrie Irving, play dei Cavs, ha parlato di Mamba Mentality dopo il tiro che ha forse deciso gara-7 delle finali Nba contro i Warriors.
«Sicuramente, molti altri non avrebbero avuto il coraggio di prenderlo...».
Sono 5 le componenti della Mamba Mentality. La prima è la passione per il basket. C’è stato un momento in cui hai capito che questo sport sarebbe stato la tua vita?
«No, ma non volevo mai smettere di giocare, l’ho sempre amato, è cresciuto dentro di me giorno dopo giorno».
La seconda è ossessione, l’importanza e la cura dei dettagli.
«Non è facile, ma se raggiungi quel livello di focus, i risultati possono essere grandissimi».
La terza è «relentlessness», ovvero competere a qualsiasi costo. Anche contro le regole?
«No, assolutamente. La cosa più importante è non mollare mai, c’è chi si piega davanti alle difficoltà, invece non deve accadere».
La quarta è resilienza, resistenza alle avversità.
«Ho dovuto superarne tante: spalle, ginocchia, tendine d’Achille. La differenza la fai dopo, quando ti rialzi».
L’ultima è superare le paure. Ne hai avuta in carriera?
«Sì, ma l’ho sempre accettata come sfida, non ho mai lasciato che ne fossi preda. L’ho imparato da giovane, per la prima volta al Camp Cotigliano di Pistoia, dove c’era anche Mario Boni. In una gara ero nervoso e giocai male, quella sera cercai di capire perché era accaduto. Questa filosofia ha radici in quella nottata».
C’è mai stato uno di questi 5 punti cardine che hai fatto fatica a seguire?
«La resilienza. Quando mi si è rotto il tendine d’Achille pensavo che non ce l’avrei fatta a tornare. Ma solo per una notte, poi mi sono svegliato e mi sono detto “no, devi reagire”».
Prenderai mai in mano ancora un pallone?
«Sicuramente, solo per divertirmi però, non per giocare sul serio. Lo faccio già con le figlie, gli amici».
Come vedi il futuro dei Lakers?
«Hanno molti giovani di talento. Non so se li cederanno o costruiranno su di loro».
Quando hai scritto la famosa lettera al basket d’addio?
«Il giorno stesso in cui ho realizzato che questo sarebbe stato il mio ultimo anno, in 15’ sull’I-Phone».
E se il basket dovesse scrivere una lettera a te?
«Sarei sempre io a doverlo ringraziare, mi ha insegnato come essere uomo, un amico migliore, tutto».
Recentemente hai scritto un’altra lettera, a te stesso 17enne.
«Ho indicato gli errori che non ripeterei. La differenza tra il sostenere economicamente la tua famiglia e l’aiutarla a trovare la propria strada nella vita investendo su di lei. È fondamentale per farla crescere, renderla indipendente. È stato molto difficile per me realizzare la differenza e cercare di rimediare una volta fatto l’errore. Se l’avessi fatto dall’inizio la relazione con la mia famiglia oggi sarebbe diversa. Spero che chi la legge non ripeta i miei errori».
Nel tuo ultimo anno quanto hai sentito il rispetto di tutta la comunità cestistica?
«Tantissimo, è stato splendido, ero io però che volevo ringraziare loro, posso solo esserne onorato».
Ci sarà un altro Kobe?
«Siamo tutti diversi, spero che i giocatori di oggi abbiano la mia stessa mentalità. Io posso solo cercare di trasmetterla».
Ti sembra strano aver così tanto tempo libero?
«In realtà sono molto occupato. Lavoro, devo sempre pensare alla prossima cosa da fare, il basket, il film, i libri, non posso fermarmi. Ho mille interessi, non so fare solo una cosa, giocare a basket».
A proposito del film: hai avuto una troupe che ti ha seguito per tutta la stagione. Cosa ci puoi anticipare?
«È un progetto molto complicato, non vogliamo farne un documentario, ma un film vero e proprio. Non è facile, penso ci vorranno 3-4-5 anni».
E i libri?
«Fantasia e mitologia sportiva per i bimbi. Storie che non esistono e vanno scritte per scatenare la loro immaginazione, dandogli anche esempi concreti di cose che possono fare. La magia e la fantasia esistono nello sport, spero siano d’ispirazione per loro. Le idee sono mie, poi ho tre autori straordinari che le scrivono. Erano due anni che ci pensavo».
In che cosa ti senti italiano?
«La passione, la fantasia. Crescere qui in Italia, dove c’è storia ad ogni angolo di strada, ti ispira. Da piccolo mi facevo mille domande e questo sviluppa la curiosità e ti permette quando cresci di avere sempre una mente attiva, che vuole scavare, andare oltre le apparenze, capire perché le cose sono in un certo modo».
Cosa ne pensi della scelta di Durant di andare ai Warriors?
«Che sono contento d’aver smesso... Scherzi a parte, sono fortissimi, è stata una scelta difficile per lui, ma vuole vincere quindi ha scelto la soluzione migliore e dobbiamo rispettarla».
È in arrivo la terza bambina (niente erede Nba per ora...), avete già scelto il nome?
«Non ancora. Ma visto che le prime due si chiamano Natalia Diamante e Gianna Maria Onore, sarà sicuramente italiano».
Hai mai pensato di portarle per un semestre scolastico in Italia?
«No, sono sempre in viaggio, e per la mia famiglia la cosa importante è la stabilità. Ma d’estate sicuramente».
Un salto nel passato: ci sono mai state davvero chance che venissi a giocare nella Virtus Bologna?
«Sì, eravamo vicini. Poi è finita la serrata...».
Cosa ti ha trasmesso Ettore Messina?
«Mi è piaciuto moltissimo lavorare con lui, condividiamo la stessa passione per il basket, studia continuamente, ero molto triste quando ha lasciato i Lakers, può essere un grande coach Nba e non a caso intelligentemente gli Spurs lo hanno preso. Lo voglio dire ai Lakers: il prossimo allenatore deve essere lui! Vorrei lavorare con Ettore per far crescere i giovani italiani e farli diventare i migliori al mondo. Insieme lo possiamo fare».
E Marco Belinelli come lo vedresti in maglia Lakers?
«Mi è sempre piaciuto vederlo giocare, lo fa con grande intelligenza. Lo dicevo sempre ai compagni, “guardatelo, seguitelo, se lo perdete anche per un solo attimo, quando lo ritroverete sarà troppo tardi”. Gioca con la testa, col corpo, con gli angoli, è difficile trovarne così, molti vogliono solo correre, saltare, schiacciare, lui è molto intelligente».