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 2016  luglio 23 Sabato calendario

Barry Sheene e quel mondiale che cambiò il motociclismo. Era il 1976

Un pilota che non c’è più vince su un circuito che non si usa più. Eppure quella gara di 40 fa ad Anderstorp, in Svezia, è uno dei più grossi spartiacque del motociclismo moderno. Per tanti motivi il Motomondiale del 1976 è stato un punto di svolta. Il primo ha un nome e un cognome: Barry Sheene. Quell’anno, era davvero il più forte di tutti. Più forte del destino che l’anno prima alla 200 Miglia di Daytona per poco non se lo porta via, quando la gomma posteriore della Suzuki 750 scoppia e lui cade a 280 all’ora, spaccandosi quasi tutto. I medici gli consigliarono di ritirarsi, lui soltanto due mesi dopo era in sella, pur con una gamba claudicante che gli impediva di spingere la moto. In quel Mondiale di 40 anni fa l’inglese vinse tutte le gare che contavano: tripletta all’esordio (Le Mans, Salisburgo e Mugello), vittoria ad Assen, secondo a Spa a 7 secondi da John Williams e primo in Svezia. Una vittoria che valse il primo titolo con tre gare di anticipo. Non ebbe nemmeno bisogno di correrle.
COPPIA PERFETTA Per lui è l’inizio di un ciclo. Il trionfo con la Suzuki RG500 sancisce l’inizio del suo magico biennio. E anche il cambio radicale nell’evoluzione della tecnica, anticipata dalla vittoria dell’anno precedente di Agostini su Yamaha: le moto giapponesi a due tempi avevano scalzato le ormai datate MV Agusta a quattro tempi. La Suzuki in particolare inizia con Sheene e proseguirà con Kenny Roberts, Marco Lucchinelli e Franco Uncini una lunghissima striscia di successi. E negli anni successivi il dominio nipponico proseguirà senza sosta: tra 500 e MotoGP l’unico anno in cui un costruttore non giapponese ha conquistato il Mondiale è stato il 2007, con Ducati.

CAMBIO DI GENERAZIONE
Iil 1976 è l’anno che ha cambiato per sempre il mondo delle moto anche perché Barry Sheene vinse tutte le gare che contavano, ma decise di non correrne alcune quando ancora era in lizza per il titolo. Come il Tourist Trophy dell’Isola di Man, che dopo quell’anno – e in seguito al boicottaggio messo in atto dai piloti di maggior spicco per la sua pericolosità – lascia il Motomondiale. Il 1976 è anche l’ultimo anno in cui corre Phil Read. E lascia l’ultimo segno nel GP Germania in 500 il vecchio leone Giacomo Agostini.

PERSONAGGIO
Con la sua guasconeria e i suoi modi sopra le righe, Barry Sheene era diventato di per sé stesso l’evento, l’attrazione principale. Era il nuovo che avanzava e aveva fatto ben presto dimenticare i dinosauri delle due ruote che sì avevano vinto molto, ma erano sempre uguali a sé stessi. Fu il primo pilota a indossare vistose tute da gara e il primo a voler tenere sulla carena della propria Suzuki il suo numero di gara, il 7, invece dell’1 che veniva assegnato al campione in carica. A chi lo accusava di fare una vita brillante, rispondeva: «Sono abituato a prendermi tutti i gusti della vita. Mi piacciono le macchine comode, la musica, le ragazze. E le corse. Non vedo perché dovrei rinunciare a qualcosa». Un grande pilota e soprattutto un osso duro, capace di rialzarsi dopo molte cadute e infortuni gravi. Una volta il suo biografo Iam Beacham li mise in fila: 4 volte la caviglia sinistra, due la destra, gamba destra, gamba sinistra, nove costole, due dita, entrambe le clavicole, avambraccio, sette vertebre schiacciate. Venne operato così tante volte che – narra la leggenda – le placche di metallo che aveva nel corpo in ogni aeroporto facevano impazzire i metal detector. Ma più di ogni altra cosa, è stato un personaggio anni prima che sulla scena arrivasse Valentino Rossi.