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 2016  luglio 24 Domenica calendario

Come si legge una relazione finanziaria

Le relazioni finanziarie annuali delle società quotate sono dei tomi enciclopedici che si allungano ogni anno di più: nel 2003 la relazione annuale di Luxottica era di 67 pagine, nel 2015 di 302. Per il lettore inesperto la parte più surreale è quella dedicata ai fattori di rischio. Le società informano gli investitori su cosa potrebbe impattare negativamente il valore del loro investimento. Tranne un’invasione di marziani e una nuova epidemia di peste bubbonica sembrano essere enumerati tutti i possibili scenari negativi. Viene naturale chiedersi che funzione abbiano questi documenti se non quella di arricchire gli avvocati che li compilano. 
Un articolo di alcuni ricercatori della Harvard Business School (Lauren Cohen, Christopher Malloy, Quoc Nguyen, “Lazy Prices”, Harvard Business School Working Paper, 2015), però, ci fornisce una nuova prospettiva. Gli autori partono dal presupposto che questi documenti sono molto costosi da compilare. Proprio per questo le società tendono semplicemente a ricopiare quello che hanno scritto l’anno prima, tranne quando un nuovo rischio si profila all’orizzonte. In quel caso cercano di proteggersi da potenziali cause future, inserendo il nuovo rischio nella relazione finanziaria anche prima che si materializzi. Se così fosse, in media l’aggiunta di uno o più nuovi fattori di rischio dovrebbe avere un valore predittivo sul materializzarsi di eventi negativi. 
Nella vita di ogni singola società ci sono tantissimi eventi che influenzano l’andamento di un titolo a cominciare dal ciclo economico. Quindi guardando ai singoli titoli c’è troppa variabilità per identificare la veridicità di quest’ipotesi. Per questo gli autori – come è standard in finanza – costruiscono dei portafogli: un portafoglio di azioni di società che non hanno variato i propri fattori di rischio nella relazione e un portafoglio di titoli che l’hanno fatto. Poi comparano il rendimento dei due portafogli sull’orizzonte temporale di 12-18 mesi dalla pubblicazione delle relazioni. Il risultato è sorprendente: la differenza tra il rendimento annuale dei due portafogli è di 22 punti percentuali. L’aspetto più sorprendente è che sembrerebbe che gli analisti ignorassero questo dettaglio, altrimenti l’effetto si rifletterebbe immediatamente nei prezzi dei titoli ed invece si manifesta lentamente nel corso dell’anno. 
Per comparare le relazioni di migliaia di società, gli autori utilizzano un sofisticato software linguistico. Io ho provato a riprodurre in modo più artigianale la loro strategia sui principali dieci titoli italiani. Ho isolato la sezione “Fattori di Rischio”, l’ho esportata in Word e poi ho comparato quella del 2015 con quella del 2014. La buona notizia è che in media la lunghezza della sezione “fattori di rischio” delle principali società italiane si è ridotta dell’8%, ma il risultato è frutto della riduzione dell’87% della sezione di Snam. Escludendo Snam, la media diventa +1%. La società che ha visto aumentare di più la propria sezione rischi è Atlantia +27%. Guardando le aggiunte, però, non ci sembra nulla di particolarmente preoccupante: solo una riduzione dei margini delle concessioni sull’Autostrada Tirrenica dovuta ai rinnovi contrattuali e uno sfasamento contabile di meno di un milione di euro su alcuni derivati di copertura. La seconda è Telecom (+9%). Qui si trova una varietà di nuovi eventi: dall’aumentata competizione (soprattutto in Brasile) all’aumentato rischio regolatorio. Particolarmente interessante la variazione su dove è investita la liquidità del gruppo: nel 2014 si parla di istituzioni “con un elevato merito di credito” nel 2015 di istituzioni con almeno un rating “investment grade”, il che significa tutto tranne la spazzatura.
Prima di lanciarsi ad investire secondo questi criteri è meglio aspettare che questo studio sia validato da altri, in paesi diversi. Ma possiamo già trarre un’importante lezione di corporate governance: nei documenti contabili ci sono informazioni molto valide. Le società, però, tendono a nasconderle in un mare di carta. Bisogna imparare ad aguzzare la vista per vederle.