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 2016  luglio 24 Domenica calendario

Le 4 grandi italiane superano gli stress test. A rischio solo Mps

L’esito degli stress test condotti dall’Eba e dalla Vigilanza Bce sulle prime 53 banche europee non giungerà come una sorpresa venerdì prossimo alle 22, quando saranno ufficialmente comunicati i dati. Nelle ultime due settimane, infatti, i team della Vigilanza europea hanno già preannunciato ai vertici dei vari istituti in una serie di incontri one-to-one i risultati preliminari dell’esercizio di stress, suscettibili di variazioni decimali dopo l’esame finale condotto dal Single Supervisory Mechanism della Bce che si è riunito giovedì e venerdì scorso a Francoforte. 
Sulla base delle indicazioni preliminari, stando alle indiscrezioni di fonti autorevoli che le singole banche non hanno voluto confermare, tra le 5 banche italiane coinvolte nello stress test solo Mps, come ampiamente previsto dal mercato, ha ottenuto una classifica deludente «bruciando» gran parte del Cet1 attuale nelle simulazioni di scenario avverso. Per le attro quattro grandi, si profila invece un esito positivo. Se per Intesa Sanpaolo si delinea un target addirittura ai massimi livelli tra le big europee, anche per Banco Popolare e Ubi Banca la «resistenza» allo stress rientrerebbe nella fascia elevata. Posizionandosi poco sopra a UniCredit, che risulterebbe comunque in zona «medio-alta». Non esistendo stavolta un parametro di riferimento individuato dall’Eba come soglia minima, l’unico livello di confronto può essere il 5,5% di Cet 1 stabilito in sede di stress test del 2014. Ebbene, a eccesione di Mps, le altre 4 banche italiane si posizionerebbero ben sopra tale livello con Intesa Sanpaolo addirittura su livelli quasi doppi del minimo.
Il nodo principale da risolvere per il sistema bancario italiano resta dunque quello di Mps che, proprio in vista dell’esito sfavorevole degli stress test e dei diktat della Vigilanza Bce, sta lavorando a un maxi-piano di cessione di crediti in sofferenza da 10 miliardi e un conseguente aumento di capitale che potrebbe essere compreso tra i 3 e i 4 miliardi. Per poter partire con l’implementazione del piano straordinario, però, serve un via libera da parte della Vigilanza Bce sull’impatto dei modelli di rating interni. Una risposta è attesa a inizio settimana, ma i tempi sono stretti (il 29 è convocato il cda di Mps in concomitanza con l’esito ufficiale degli stress test) e da Francoforte non si percepisce l’urgenza di una risposta. L’alternativa al piano privato, in caso di non approvazione da parte della Bce, può essere solo l’interveto dello Stato da discutere con l’Unione europea senza incorrere nei vincoli degli aiuti di Stato (si veda l’articolo sotto).
Le modalità degli esami 
Gli stress test hanno messo alla prova la tenuta patrimoniale di 53 banche europee (il 70% del sistema Ue) in due scenari macroeconomici, uno di base e uno avverso. Tra i punti ipotizzati in quello sfavorevole, c’è un calo del Pil nel 2016-2018, un forte haircut dei titoli governativi e un crollo cumulato dei prezzi degli immobili residenziali e commerciali. La novità più rilevante rispetto agli stress test del 2014 è che l’Eba oggi non ha previsto una soglia minima di capitale da rispettare, asticella che era pari al 5,5% due anni fa nello scenario avverso. Così facendo la Vigilanza ha voluto rasserenare il clima sul mercato, riducendo l’eventuale impatto negativo a fronte di risultati negativi. Di fatto quindi, come confermato nei giorni scorsi anche dal numero uno dell’Eba Andrea Enria, non vi sarà alcuna richiesta di ricapitalizzazione automatica. A cosa serviranno allora gli stress test? Degli esiti saranno usati dalla Bce per costruire l’indicazione di capitale (capital guidance) che emergerà dagli Srep 2016: il processo, che analizza nel complesso i requisiti prudenziali delle banche, è in atto e arriverà a conclusione tra il terzo e il quarto quadrimestre dell’anno. 
Le comunicazioni agli istituti 
Con gli esiti di venerdì arriva così a conclusione un processo lungo quattro mesi. Che, dopo il kick off dello scorso marzo con l’avvio dei primi template alla banche, ha visto un’interlocuzione continua tra banche e regolatori. A tenere il pallino è stata Francoforte, che ha condotto gli esami sulla base degli scenari costruiti dall’Eba. Dopo una raccolta di dati base, gli istituti hanno intrapreso un ciclo di verifica quali-quantitativa dei dati, suddiviso in tre differenti round, ciascuno della durata di un mese. Nei giorni scorsi si è arrivati alle verifiche finali, con la condivisione dei risultati tra gli ispettori e i top management degli istituti europei, esiti spesso comunicati in videoconferenza da Francoforte. Da una parte i vertici dei direttorati generali micro-prudenziali della Bce e i capi delle singole divisioni e sezioni. Dall’altra, le intere top line degli istituti, a partire dai Ceo ai Chief risk officer ai Chief financial officer. La partita degli stress test interessa peraltro anche la restante 80ina di banche sotto la Vigilanza Ssm (tra cui una decina di italiane), su cui la Bce ha condotto in autonomia un esame “semplificato” one-to-one, i cui risultati – di cui gli istituti sono da giorni già a conoscenza – rimarranno però confidenziali.
Le criticità 
Non sono mancate le contestazioni da parte delle banche verso un test che è apparso a diversi osservatori fuori sincrono. L’assenza delle banche greche e portoghesi nel campione Eba, la mancata analisi dell’impatto dei nuovi criteri contabili Ifrs9, l’inserimento di scenari giudicati dalle banche irrealistici, da una parte, e poco aggiornati dall’altro (nessun cenno alla Brexit, ad esempio) hanno dato fiato alle critiche. Non è un caso che nei scorsi lo stesso presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, abbia detto che i test sono “astrusi nel merito e nel metodo”. Ecco perchè, a quanto risulta al Sole 24Ore, man mano che i risultati emergevano, le banche rispondevano con controdeduzioni che portavano a un fine tuning dei risultati. Un esempio per tutti è quello di Carige, come anticipato lo scorso 20 luglio, avrebbe contestato le pagelle finali, manifestando tutte le sue perplessità. Nel mirino delle banche è finita la modalità di applicazione – ritenuta eccessivamente penalizzante – dei modelli top-down, che prevedono un adeguamento “rigido” degli indicatori dei singoli istituti ai benchmark europei e di settore. Le prove da sforzo inoltre hanno messo alla prova in particolare la tenuta del margine di interesse, la qualità del credito e i titoli di Stato. Capitoli su cui le banche domestiche – vista l’identità di tipicamente commerciale – risultano strutturalmente più vulnerabili.