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 2016  luglio 23 Sabato calendario

I segreti matematici di Calvino e Bach

Le sei “Lezioni americane” di Italo Calvino erano previste per l’autunno del 1985 all’Università di Harvard, ma lo scrittore morì il 19 settembre di quell’anno. Non furono dunque mai tenute, e sono rimaste incompiute: manca infatti l’ultima sulla “consistenza”, che Calvino pensava di scrivere negli Stati Uniti. Le altre cinque erano invece pronte al momento della sua morte, e riguardano la “leggerezza”, la “velocità”, l’“esattezza”, la “visibilità” e la “molteplicità”. Gli argomenti sono generici e si prestano ad ampie interpretazioni, ma le lezioni facevano parte della prestigiosa serie delle Norton Poetry Lectures. Calvino sviluppò dunque i propri temi dal punto di vista della letteratura, come altri titolati conferenzieri prima e dopo di lui, da Jorge Luis Borges (1967) a Umberto Eco (1992). Ma se avesse invece voluto parlare di musica non sarebbe stato redarguito, visto che nell’albo d’oro delle Norton Lectures si trovano anche i nomi di molti musicisti, da Igor Stravinsky (1939) a Luciano Berio (1993).
Calvino definisce l’esattezza come «pianificazione, icasticità e precisione». E la oppone all’«epidemia pestilenziale» che già trent’anni fa, e ancor più oggi, «tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla»: non solo nel linguaggio, ma anche nelle immagini e in tutto ciò che oggi chiameremmo multimediale. Calvino porta la matematica a esempio dell’esattezza, pur rimanendo nell’ambito letterario. Cita come esempi L’infinito di Giacomo Leopardi, per la sua tensione verso lo spazio infinito, e L’uomo senza qualità di Robert Musil, il cui protagonista era appunto un matematico. Dichiara la propria «predilezione per le forme geometriche, le simmetrie, le serie, la combinatoria, le proporzioni numeriche». Allude ai «libri scientifici in cui ficca il naso alla ricerca di stimoli per l’immaginazione». E ritrova queste suggestioni nella propria opera, da Le città invisbili a Palomar.
Ma alla fine Calvino confessa di percepire un limite nell’esattezza del linguaggio matematico, perché «le lingue naturali dicono sempre qualcosa in più rispetto ai linguaggi formalizzati». Ma forse non era conscio del fatto che la matematica non è affatto un linguaggio completamente formalizzato, e che nella pratica quotidiana essa risulta essere molto più simile al linguaggio naturale di quanto lui pensasse. Talmente simile, che le stesse Lezioni americane di Calvino si possono facilmente rileggere in chiave matematica, come ha mostrato Gabriele Lolli nel suo Discorso sulla matematica (Bollati Boringhieri, 2011). Rimane comunque vero che la matematica è meno vicina al linguaggio naturale di quanto non lo sia alla musica, e che le caratteristiche di esattezza che Calvino attribuiva alla prima si applicano altrettanto bene a quest’ultima. Talmente bene, che basta un aneddoto ad illustrarlo. Si dice infatti che un giorno Albert Einstein, che stava suonando il violino accompagnato dal pianista Boris Schwarz, andò fuori tempo e ricevette un’occhiataccia, con la seccata domanda: «Professore, non sa contare?».
Che Johann Sebastian Bach sapesse contare, benché in maniera diversa da Einstein, lo dimostrano sia la sua vita che le sue opere. Anzitutto, aveva una predilezione per il numero 14, ottenuto sommando le cifre del numero 2138 corrispondente al suo nome(1 per la A, 2, per la B, eccetera). Per questo motivo 14 sono le fughe dell’Arte della fuga, 14 i canoni Sulle prime otto note del basso delle Variazioni Goldberg, 14 le note dei temi di varie sue composizioni: ad esempio, la prima fuga del Clavicembalo ben temperato. Più in generale, nel 1738 Lorenz Christopher Mizler aveva fondato a Lipsia una Società per le scienze musicali, con l’intento di mostrare i legami della matematica con la musica. Il motto della Società era «la musica è il suono della matematica», e Bach vi entrò come quattordicesimo membro nel 1747, anno in cui il 14 compare due volte. Per l’ammissione bisognava produrre una composizione musicale a struttura matematica e presentare un ritratto: Bach prese due piccioni con una fava, facendosi raffigurare nel ritratto, oltre che con 14 bottoni d’argento, anche con lo spartito di un Canone triplo a sei voci in mano. Si trattava del penultimo dei 14 canoni citati sopra, ed era scritto in forma enigmatica: si poteva leggere in 480 modi diversi, anche se la prima soluzione fu trovata soltanto nel 1840!
Numero 14 a parte, varie altre simmetrie numeriche si ritrovano in molte opere di Bach. Ad esempio, le Variazioni Goldberg si compongono di 32 pezzi: un’aria, 30 variazioni e la ripetizione dell’aria. L’aria consiste di 32 battute, o 16 ritornelli, o 8 periodi, o 4 frasi, o 2 parti. E le variazioni il cui numero è divisibile per 3 (cioè, la terza, la sesta, eccetera) costituiscono 9 canoni, che vanno nell’ordine dall’unisono alla nona. Ma è soprattutto nella composizione musicale che Bach rivelò il suo talento matematico: il barocco amava infatti i canoni, il cui nome significava appunto “regola”. La loro caratteristica era di avere un certo numero di voci isomorfe fra loro, da un minimo di due a un massimo storico di 36, in una composizione di Johannes Ockeghem nel Quattrocento.
L’isomorfismo delle voci si otteneva nei modi più svariati, ma sempre con trasformazioni di tipo aritmetico o geometrico. Ad esempio, una voce poteva essere dilatata o contratta, nei canoni per aumentazione o per diminuzione. Poteva essere traslata orizzontalmente o verticalmente sullo spartito, nei canoni retti. Poteva essere riflessa verticalmente, come una “b” in una “p”, nei canoni inversi o a specchio. Poteva essere riflessa orizzontalmente, come una “b” in una “d”, nei canoni retrogradi o cancrizzanti. E poteva essere riflessa sia verticalmente che orizzontalmente, come una “b” in una “q”, nei canoni inversi retrogradi o retrogradi inversi. Come i canoni a specchio erano esempi musicali di palindromi, i canoni perpetui lo erano di testi circolari: si potevano cioè suonare all’infinito, perché tornavano al punto di partenza. I canoni a spirale erano invece costruiti in modo da poter essere ripetuti ad altezze diverse da quella di partenza, in modo da dare l’illusione acustica di una scala infinita, ascendente o discendente, come nel quadro di Escher Salire e scendere. Inutile dire che tutti questi procedimenti, e vari altri, si trovano nelle summe di Bach: i nove canoni delle Variazioni Goldberg, i quattordici Sulle prime otto note del basso delle Variazioni Goldberg, i dieci canoni dell’Offerta musicale e i quattro dell’Arte
della fuga. Ma Bach è passato alla storia anche per i 48 preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato, che intendevano mostrare le potenzialità musicali di una forma del cosiddetto “temperamento equabile”: cioè, di una divisione musicale dell’ottava in 12 intervalli uguali, ciascuno dei quali corrisponde matematicamente alla radice dodicesima di 2. A definitiva conferma del fatto che Bach sapeva contare perfettamente, ma che questo non gli impediva di scrivere musica che fosse allo stesso tempo non solo esatta, nel senso calviniano di “pianificata, icastica e precisa”, ma anche addirittura più espressiva dello stesso linguaggio naturale.