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 2016  luglio 23 Sabato calendario

Povero Brunetta, scartato di nuovo

Seguire Renato Brunetta su Twitter è un lavoro supplementare. Ieri non tanto, perché aveva il vertice ad Arcore, ma giovedì ha infilato una serie di tweet tale da costituire un sintomo di internet addiction disorder, come si dice nei prontuari di psicologia. Roba bella tosta, così: «Ci hanno fatto di tutto e per questo dico che è la battaglia della vita #referendum». O così: «Il #referendum è la chiave di tutto. Perchè le alchimie e i passaggi non scaldano i cuori, quello che scalda i cuori è mandare a casa Renzi». E anche così: «Ripeto visitate il nostro sito comitatiperilno.com», dove quel «ripeto» racconta una delle ragioni per le quali a oggi Renato Brunetta ha redatto 34 mila e 600 tweet, che in sette anni di iscrizione al social fanno quasi 14 tweet al giorno, con un serio incremento in tempi recenti. Poi bisogna andare nell’archivio Ansa per verificare che negli ultimi dodici mesi i lanci d’agenzia con Brunetta nel titolo sono mille e 283, cioè una media di tre e mezzo al giorno, tutti assertivi. Brunetta fa anche molte interviste, alla tv e ai quotidiani, e se può alla sera va nei talk show a ingaggiare battaglia coi conduttori, sul loro stipendio e sulla loro propensione filogovernativa. Dire che Brunetta faccia il capogruppo alla Camera di Forza Italia nel tempo libero è profondamente ingiusto perché Brunetta non ha tempo libero: tutto impegnato, fino a notte e dall’alba, per il bene del partito. Dunque si capirà – e come dargli torto? – perché Brunetta sia di nuovo fuori di sé.
Ogni volta, al dunque, Silvio Berlusconi ne sceglie un altro. Ora Stefano Parisi, prima Mariarosaria Rossi, prima ancora Giovanni Toti, e andando indietro, e citando alla rinfusa, Denis Verdini e Daniela Santanchè, Sandro Bondi e Giulio Tremonti, Claudio Scajola e persino Roberto Antonione, la cui memoria è conservata giusto dai fanatici. Eppure Brunetta di meriti ne ha accumulati, e specie in questa legislatura dentro a un partito senza cariche, a parte quello di Grande Sentinella rivestito dalla Rossi. Ha interpretato alla grande il ruolo di capogruppo (secondo una mitologia un po’ mascalzona lo ottenne strepitando e gettandosi a terra nella stanza di Berlusconi), l’unico ufficiale insieme a quello parallelo di capogruppo al Senato, affidato a un Paolo Romani molto meno appariscente e autonomo. Brunetta ha militarizzato il gruppo, è riuscito a sedarne un paio di rivolte, ha ingaggiato discussioni un po’ asimmetriche col resto del mondo («presidente, ma il cerchio magico...», «cerchio che? Cerchio cosa?», «il cerchio magico...», «non so di che cosa parla, non esiste nessun cerchio magico!»). Soprattutto è andato dritto per la sua strada, un viottolo di montagna per partigiani, contro Matteo Renzi e la sua riforma costituzionale nei mesi in cui Berlusconi, fra l’entusiasmo riformista e inciucista della truppa, conduceva il filarino con il nuovo capo del centrosinistra. Ha avuto ragione Brunetta, e siccome in Forza Italia sono tutti berlusconiani, per la proprietà transitiva sono diventati tutti brunettiani, a loro insaputa, e con improvviso zelo filologico, nel ferreo convincimento che la nuova Carta condurrà il premier al ducismo.
Niente da fare: Brunetta no, Parisi sì e la cosa avrà senz’altro una sua logica. Forse dipende dal fatto che Brunetta è iracondo, complicato, apodittico, a tratti fastidioso, intrattabile (in queste ore è molto intrattabile, e parecchio deluso) ma soprattutto si ostina a usare la sua testa, a usarla a suo modo, il che è un grave difetto in un partito in cui tutti hanno sempre qualcosa da dire, e di terribile, ma alla condizione dell’anonimato.