Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 23 Sabato calendario

La Francia rivuole Napoleone

Immaginate un manifesto populista, pieno di considerazioni politicamente scorrette, scritto in una lingua vibrante da un intellettuale eretico e patriota. Un libro inimmaginabile in Italia, e infatti è di Éric Zemmour, ebreo francese di origini algerine: Il suicidio francese (Enrico Damiani Editore, pp.587, euro 19, tradotto da Elena Faroni e Anna Rita Stocchi), mezzo milione di copie vendute in Francia.
IMPERO
Non c’è riga di Eric Zemmour che non esasperi e che al contempo non strappi l’ammirazione! Mi esaspera perché vuole tornare nientedimeno a Napoleone, riscopre l’amore per le proprie radici in un mondo in cui le radici hanno a che fare con l’immaginario, trova assurdo che in Francia uno possa mettere come nome a suo figlio Mohamed e che la nazionale di calcio sia composta da immigrati che ignorano la Marsigliese e mangiano kebab.
Strappa l’ammirazione perché ha uno stile vibrante, degno della grande tradizione pamphlettistica francese, perché scuote i nostri luoghi comuni, perché è animato da una passione autentica.
LE ORIGINI
Da dove nasce il suicidio della Francia? Dalla generazione del ’68, antigerarchica, cosmopolita, femminista, trasgressiva, libertaria, edonista, che ha preso il potere nei media e che decide cosa è cool e moderno (anche nel recente dibattito sulla Brexit è affiorato un tema del genere, con la contrapposizione tra presunte èlite illuminate e popolo arretrato).
RIVOLUZIONE
Zemmour ignora l’anima umanistica del’68 ma come dargli torto quando sottolinea la deriva consumistica dei famosi slogan «è proibito proibire» e «godete senza ostacoli? Per lui i veri eroi sessantotteschi sono Steve Jobs e Bill Gates, la figura del (falso) simpatico che si trova ad essere un vero tiranno. Da lì si origina anche l’attitudine a dissacrare tutto, il «trittico: derisione, decostruzione, distruzione», che ha minato «le fondamenta di tutte le strutture tradizionali: famiglia, nazione, lavoro, stato, scuola», lo sbracamento della comunicazione celebrato su Canal+, il canale di Hollywood e della banlieu, che negli anni ha destrutturato la lingua e l’abbigliamento: «Il popolo degli operai e degli impiegati era paragonato alla feccia dell’umanità, franchouillard xenofobi dalla fronte bassa, babbei razzisti, alcolisti misogini presi in giro negli innumerevoli sketch»
Il risultato è uno spappolamento della identità culturale della nazione, che si vergogna della propria stessa tradizione e che si espone inerme ad una immigrazione aggressiva: all’ingresso di molti quartieri di città francesi, dove si trovano solo macellerie halal e le donne vanno con il velo al lavoro, si dichiara in vigore la legge della sharia.
SUGGESTIONE
Probabilmente Zemmour generalizza troppo e ci offre più una suggestione letteraria che una inchiesta rigorosa sul multiculturalismo in Francia. Né possiamo seguirlo nella demonizzazione della musica rap e dell’intera arte contemporanea (che il popolo non capirà mai) o quando mette insieme finanza internazionale, gay e informatica, o quando cita il pur autorevole Levi-Strauss nell’auspicio di un po’ di xenofobia (in funzione difensiva). Però il suo grido di dolore mette a nudo una diffusa retorica dell’apertura indiscriminata (e non realistica) all’altro, dello scambio culturale senza che noi abbiamo più niente da scambiare! Ed è in gran parte vero che «insieme al vecchio mondo, le nuove generazioni avevano gettato via anche le vecchie buone maniere».
La diagnosi di Zemmour è spesso illuminante. Qualche dubbio sui rimedi che propone: chiusura delle frontiere, riscoperta della virilità (!), orgoglio nazionale. A un certo punto stende il commosso elogio della lingua di Racine, della verve di Molière e dello spirito di Descartes. E anche dei valori tradizionali: «Il senso dell’onore, il rispetto per gli anziani, l’umiltà individuale».
CONTRAPPOSIZIONI
Bene, ma è sicuro che tutte queste cose siano coltivate dai francesi autoctoni e dileggiate dagli immigrati? La contrapposizione non è tra noi e loro. Qui Zemmour è a sua volta vittima di pregiudizi. La lingua francese è stata rivitalizzata in molta letteratura migrante, scritta da chi non è di madrelingua francese. Zemmour mi accuserebbe di buonismo però a volte quei valori del passato ci sono ricordati proprio dagli immigrati che vengono qui con le famiglie e la domenica, nei paesi, mangiano tutti insieme in lunghe tavolate come facevano i nostri nonni.