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 2016  luglio 24 Domenica calendario

Il Mercante di Venezia visto da un altro punto di vista

«Chi è il mercante qui? E chi è l’ebreo?». Secondo Dario Calimani è questa la battuta chiave per leggere Il mercante di Venezia di Shakespeare, di cui ha curato una nuova traduzione per Marsilio. A pronunciarla è Porzia che, travestita da avvocato, fa il suo ingresso al processo che vede fronteggiarsi Antonio, il mercante gentiluomo in rovina che non può saldare il proprio debito, e Shylock, l’ebreo creditore che reclama la sua libbra di carne, introdotta come penale quasi burlesca in un contratto che, rispettato fino in fondo, immerge i personaggi nella più immane delle tragedie: quella che vede il cristiano e l’ebreo confrontarsi sul terreno dei pregiudizi, degli odi e delle vendette quotidiane che animano la Venezia globalizzata dei commerci agli albori del capitalismo finanziario. Porzia, irrompendo nel cuore della tragedia con quella battuta ironica e scherzosa – come non riconoscere l’ebreo, presentato proprio nei tratti più classici dell’usuraio? – ci ricorda che siamo immersi in un romance e che dovremo aspettarci che tutto si ricomponga in un lieto fine. Tutto a spese di Shylock, personaggio che tuttavia trasuda umanità e profondità di pensiero, benché mescolati a perfidia e a sete di vendetta, tali da lasciare interdetto lo spettatore di fronte alla sua totale umiliazione. Shakespeare, per questo motivo è stato tacciato di antisemitismo. Calimani ci aiuta invece a comprendere il carattere ambiguo, dialogico e aperto di questo romance che contiene anche tutti gli elementi della tragedia: l’impossibilità di coniugare il dovere con il diritto, la giustizia con l’umanità, l’amore con il disinteresse. Quando Bassanio – che grazie ai denaro preso in prestito dall’amico Antonio aveva potuto sposare Porzia – si chiede «C’è in tribunale una difesa infame e corrotta / che, speziata da una voce graziosa, / non nasconda il volto del male?» egli sembra anticipare – scrive Calimani – «un giudizio sulle argomentazioni speciose del processo, con Porzia che manipola tanto la giustizia quanto la misericordia. Un processo da cui Antonio, corresponsabile morale del bond, esce indenne, e anziché pagare per la sua leggerezza beneficia in modo sconcertante dei beni confiscati all’ebreo; e, ad aggiungere la beffa al danno, li ottiene “in uso”, in una velata versione di usura, dopo tanto disprezzo da lui riversato su Shylock e sul suo mestiere. Venezia traduce la propria vittoria sull’estraneo in vantaggio commerciale: Antonio e Bassanio non pagano i debiti» e molte altre ingiustizie vengono perpetrate. Insomma non «tutto è bene quel che finisce bene». Neppure quando Porzia perdona Bassanio per aver ceduto l’anello – suo regalo prezioso al momento delle nozze – all’avvocato del processo (che era lei travestita), suscitando in Bassanio un tradimento di cui si fa complice l’amico Antonio, niente di ciò che sembra ricomporsi può soddisfare la smania di lieto fine dello spettatore. Non solo il “tradimento” ha comunque avuto luogo e Bassanio non ha superato la prova, ma tutto ciò ha rivelato quanto Bassanio fosse assai più legato ad Antonio che a Porzia.