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 2016  luglio 24 Domenica calendario

Che sia speciale, aromatica, rossa o bionda, la birra ha fatto impennare i consumi. Oggi vale 1,2 miliardi

Un anno così frizzante il mondo della birra non lo vedeva da molti anni. L’anno scorso, complice il caldo torrido, i consumi hanno fatto il botto che poi si è protratto per i primi cinque mesi del 2016. Secondo i dati rilevati da Iri, le vendite di birra nella grande distribuzione, nel periodo maggio 2015-maggio 2016, sono balzati del 6,9% a valore e del 4% a volume. Il giro d’affari complessivo è stato di circa 1,2 miliardi. 
Il merito è delle birre “speciali” che hanno solleticato l’interesse dei consumatori: crescono del 36% le birre aromatizzate (le radler), del 14% le rosse e le chiare sopra i 6 gradi, dell’8% le weiss. Le chiare-light fino a 6 gradi (che realizzano il 95% delle vendite) avanzano del 4,3%. 
«Il segnale è positivo anche se poi a giugno c’è stata una frenata a causa di un clima piuttosto fresco – commenta Alberto Frausin, ad di Carlsberg Italia – La partita ce la giochiamo fino a settembre. Consideri però che da anni i consumi pro capite in Italia rimangono sotto i 30 litri e le poche variazioni sono dettate dal clima. Ma la novità, solo recentemente percepita dalla grande distribuzione, è la crescita della cultura della birra: non ce n’è una per tutti i piatti. Cresce l’attenzione del consumatore italiano per i sapori e gli odori delle birre regionali, dei territori, per quelle invecchiate e per le materie prime italiane». 
L’anno scorso Carlsberg Italia ha realizzato ricavi per 150 milioni, in crescita rispetto ai 145 dell’esercizio precedente. Tra le altre cose, il brand della scuderia Birrificio Poretti ha proposto una gamma di birre con ingredienti selezionati, in collaborazione con la scuola internazionale di cucina Alma. 
Il dedalo italiano 
Il mercato italiano è tra i più complessi, piccolo ma che vede la partecipazione di tutti i player europei, con in più un import robusto che l’anno scorso è balzato del +12% a volume e del +10% a valore oltre la soglia del mezzo miliardo. Metà dell’import arriva dalla Germania. Il balzo dei consumi ha creato nuove opportunità per gli importatori, anche se nel primo semestre la crescita si sarebbe ridotta, a volume, all’1%. «Il +15% a volume del 2015 ci rende orgogliosi – osserva l’ad di Bavaria Luca De Zen – Un successo ottenuto grazie al rafforzamento nel segmento delle birre speciali e al consolidamento sia della nostra Pilsner Bavaria Premium che della Radler. Si tratta di risultati ancora più significativi perché raggiunti con un minor ricorso alla promozionalità (superiore al 40% ndr)». Poi il manager aggiunge: «Dal 2012 siamo nella fascia premium. Il 95% delle vendite le realizziamo nella Gdo e la quota di mercato è del 4,5%».
Sulla stessa lunghezza d’onda Luca Giardiello, ad di Warsteiner, secondo cui «il mercato della birra è decisamente in evoluzione, grazie a una forte innovazione di prodotto. Il trend più interessante è quello delle birre speciali, un fenomeno che nel 2015 ha registrato una crescita a doppia cifra». Giardiello sottolinea che gran parte delle aziende stanno investendo, «sperimentando nuove tipologie e varianti, generando la proliferazione di marche e tipologie che la distribuzione ha premiato in termini di quote di mercato ed espositive a scaffale».
Tre colossi 
Secondo i dati Iri, i tre big Heineken, Peroni e AbInbev sommano il 66% del mercato. I dati di Assobirra (considerano i volumi)assegnano ad Heineken una quota di mercato del 28%, a Peroni il 18,6%, ad AbInbev l’8,7, a Carlsberg il 6,1% e ai competitor minori e agli importatori il 38,6%. Limitato, a volume, il contributo dei 450 microbirrifici che non va oltre i 300mila ettolitri sui 18 milioni consumati. Il 59% delle vendite si realizza nella grande distribuzione, il resto nei ristoranti e bar. 
Peraltro il business della birra è oggetto di un poderoso processo di concentrazione globale che, recentemente, ha portato alla fusione AbInbev e SabMiller e, in Italia, alla cessione di Birra Peroni ad Asahi: i nipponici hanno messo sul piatto 2,55 miliardi di euro per la società romana e l’olandese Grolsh. 
Tanto interesse si giustifica solo con la profittabilità espressa dai migliori competitor: il leader Heineken realizza ricavi per 843 milioni e un Ebitda di 92 milioni; Peroni, rispettivamente, 348 milioni e 40; Carlsberg 150 milioni e 4. 
Tuttavia «questo è un business tutt’altro che semplice e con una distribuzione di una complessità che non ha pari – osserva Frausin – Inoltre gli investimenti sono molto onerosi e il ritorno è lungo e incerto». Le uniche certezze del momento per il top manager di Carlsberg sono che «i consumatori italiani sono tra i più esigenti, certamente più dei tedeschi. Ma sono convinto che questo processo di innovazione delle birre continuerà e trascinare il mercato per almeno 5 o 10 anni».