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 2016  luglio 24 Domenica calendario

Ecco chi sono le vittime di Monaco

Tre avevano origini kosovare-albanesi. Tre dell’Anatolia. Poi c’è il greco-turco. Quindi il tedesco. Le più giovani avevano da poco compiuto i 14 anni. Due erano sedicenni. Uno diciottenne. Uno diciannovenne. Uno ventenne. Una 45enne. Poi ci sarebbe un nono corpo che, per ora, non ha un nome e un cognome.
Ma cambia poco nell’esito di questo bilancio che ha interrotto le vite soprattutto degli adolescenti e che, allo stesso tempo, dice come ad essere colpiti sono in particolare i figli della seconda generazione di migranti. Di quei giovanissimi nati in Germania – o arrivati piccoli – che finiscono per diventare il ponte sociale e culturale tra i loro genitori e la nuova società in cui si sono trasferiti.
Non è un caso se in quasi tutti i post su Facebook gli annunci strazianti di mamma, papà, fratelli e amici sono stati scritti in due lingue. Perché bisogna dirlo a chi si è lasciato nella terra d’origine. E anche ai nuovi legami dei dintorni di Monaco di Baviera ché è lì che vivevano in molti: quartieri popolari, costo della vita più basso e alta concentrazione di migranti che si traduce anche in un approccio più morbido.
La maggior parte delle persone uccise si trovava sul luogo della sparatoria con gli amici. E amiche erano, per esempio, Armela e Sabina. Stesse origini kosovare (e albanesi), stesso modo di vivere in quella che è la città capoluogo del Land più benestante dell’intera Germania, la Baviera.
Così come, forse, erano amici Can e Selcuk, due quindicenni di origine turca che in un caldo pomeriggio della seconda metà di luglio cercavano di vivere la loro vita da normali quindicenni di Monaco. Una vita, nove vite, spezzate da un loro coetaneo che, per motivi ancora da chiarire, non si sentiva accettato in questa Germania dalle tante anime.
 
Giuliano Kollmann «Aveva 19 anni, amava la vita ed era una persona simpatica e divertente che adorava giocare a calcio». Così racconta al Corriere Dennis Magro, che fino all’anno scorso aveva allenato Giuliano Kollmann nella seconda squadra del Fc Ascheim, squadra dilettantistica di un sobborgo orientale di Monaco di Baviera. Magro ha aggiunto: «Per tutti quelli che lo conoscevano è stata una notizia terribile. Ieri (due giorni fa, ndr ), eravamo davvero molto tristi. E lo siamo tuttora». Ma la tristezza non cancella i tanti ricordi accumulati calcando i campi da calcio di Monaco e dintorni: «Era un valido portiere. La sua squadra preferita era il Chelsea».
 
Houssein Daitzik Ha sacrificato la propria vita per salvare quella di sua sorella. Houssein Daitzik, 18 anni, era nato nella Tracia greca. Ma da qualche tempo si era trasferito in Germania. Secondo quanto raccontato dal Telegraph, Houssein due giorni fa stava andando con l’inseparabile sorella al centro commerciale Olympia per comprare dei regali da portare ai parenti greci in vista delle vacanze estive da trascorrere nelle terre d’origine. Quando i due si trovavano nei pressi del McDonald’s di Hanauer Straße, Ali Sonboly ha iniziato a sparare contro i passanti. D’istinto, il giovane ha spinto via la sorella, prima di essere centrato due volte.
 
Can Leyla Era nato nel 2001. Di origini turche ma residente a Monaco, aveva la cittadinanza tedesca. Can Leyla è un’altra delle giovanissime vittime dell’attacco all’ Olympia Einkaufszentrum. Per lui, come per centinaia di altri giovani della zona, il centro commerciale è un polo di attrazione magnetica: negozi, ristoranti e l’aria condizionata che dà refrigerio in un caldo giorno di mezza estate lo rendono la meta preferita per le uscite pomeridiane in questa ormai consolidata forma di «struscio» del XXI secolo. Ma per Can è stata l’ultima volta: «Il tuo nome significa anima e vita, ti vorrò bene per sempre», ha scritto un suo amico su Facebook.
 
Sabina Sulaj Sabina Sulaj, 14 anni, era passata a prendere la sua amica, la coetanea Armela. Era stata Sabina a proporre di passare il pomeriggio al centro commerciale di Monaco. Una tappa che ripetevano molto spesso, soprattutto a cavallo tra la fine della scuola e le partenze verso i luoghi di origine dei genitori. Un appuntamento con la morte. Sia Sabina che Armela sono rimaste uccise. «Tra le due Sabina era quella più esuberante», raccontano gli amici. Sabina è figlia di papà Gëzim, kosovaro fuggito in Albania per salvarsi dalla guerra. Lì ha conosciuto mamma Lola, di Rrëshen (Nord dell’Albania). Poi la decisione di trasferirsi in Germania.
 
Selcuk Stessa età di Can Leyla e stesso quartiere. La comune origine turca, le scuole in Germania e il complicato rapporto tra il fare in qualche modo parte della minoranza più numerosa di Germania e la voglia di vivere a tutti gli effetti come un qualsiasi quindicenne tedesco e bavarese tra smaprthone, selfie e Instagram. Selcuk e Can forse si conoscevano e avevano deciso di trascorrere qualche ora al fresco del grande shopping center. O forse il destino ha deciso che le loro esistenze si incrociassero per la prima volta in quei maledetti istanti in cui sono finiti sotto i colpi di pistola di un ragazzo poco più grande di loro.
Dijamant Dijamant Suo papà Naim Zabergja, ex poliziotto in Kosovo, si è presentato davanti al fast food con la foto del suo Dijamant («diamante», in albanese) in tenera età e un piccolo mazzo di rose. «Dijamant aveva 20 anni, gli piaceva molto passare del tempo in palestra ed era un ragazzo davvero a modo», racconta il padre in lacrime. Proprio lui, su Facebook, aveva dato a tutti l’annuncio in albanese: «Mio figlio è stato ucciso dai terroristi». Molto legato alla famiglia, Dijamant – raccontano i parenti – «era molto legato, quasi paterno, con le due nipotine che lui chiamava “principesse”».
 
Armela Segashi Mamma Nazmija ha sperato fino all’ultimo. «Mi avevano assicurato che tra i nove corpi lei non c’era», racconta al telefono al Corriere. E così ecco l’idea di chiedere aiuto: «Mia figlia Armela Segashi non è tornata a casa, si trovava vicino al centro commerciale durante la sparatoria». È toccato al fratello Arbnor dire a tutti che sua sorella di 14 anni non si era salvata. L’ha fatto con un post su Facebook, scritto in tedesco e in albanese, e la foto di loro due assieme. I Segashi sono originari di Podujevo/Besiane, Nord del Kosovo. Armela era con Sabina Sulaj durante la sparatoria. Ancora qualche giorno e sarebbe tornata alle origini, da parenti e amici.