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 2016  luglio 24 Domenica calendario

Tour, un lieto fine per tutti tranne che per noi

Lieto fine è quando i francesi non vincono una tappa, Bardet ne vince una bellissima e conquista pure il secondo posto in classifica. Lieto fine è quando gli spagnoli non vincono una tappa e Jon Izagirre ne vince una piuttosto bella. Suo fratello Gorka si era ritirato per caduta nella tappa di Finhaut- Emosson. Il padre, Josè Ramòn, è stato due volte campione di Spagna di ciclocross. Lieto fine anche per la famiglia Izagirre Insausti. Jon, nel ‘12, aveva vinto una tappa del Giro, a Falzes. Lieto fine sarebbe se Aru, l’atteso, l’attaccante, lo scontento del settimo posto, non si sentisse bene all’inizio della salita di Joux Plane, che notoriamente non perdona e che Lance Armstrong, alla texana, chiamava old bastard. È una salita che sembra segnata dal tempo, antica, l’asfalto rugoso. Non sentirsi bene è un eufemismo. Aru va in crisi nera: lo scortano Kangert, Rosa, Lutsenko e Sanchez. Niente da fare. Voleva migliorare il settimo posto e finisce al tredicesimo. Chiude a più di 13’ dal gruppetto di Froome. Si direbbe una crisi da fame, quella che i francesi chiamano fringale. Ma Aru lo esclude: «Non avevo fame e neanche freddo. Sono partito pieno di voglia e di speranza, mi son trovato bene fino all’inizio di Joux Plane, poi non ho più sentito le gambe. Come si fosse spenta una lampadina. Bisognerà capire cosa non ha funzionato, adesso non trovo una spiegazione. Ho ringraziato tutti i compagni che hanno creduto in me, lavorato per me. Ho imparato molto da questo Tour, ma avrei voluto chiuderlo in un modo meno amaro».
Lieto fine, su scala minore ma sempre lieto, sarebbe se Nibali, in fuga dall’inizio, vincesse la tappa. Attacca su Joux Plane, lo raggiungono Izaguirre e l’inesauribile Pantano. Va be’ adesso è tutta discesa, fradicia, pericolosa, e Nibali è considerato il miglior discesista del mondo. Gli altri due gli faranno il solletico, o no? No. Un errore di Pantano, che finisce sull’erba a bordo strada, rallenta Nibali, che deve frenare e cambiare traiettoria in curva, e ispira l’affondo di Izaguirre. Non tutto si spiega così, non i 42” di Izagirre su Nibali all’arrivo. «Non mi sentivo sicuro in quella discesa, non ho spinto al massimo. La caduta del giorno prima, con Froome, mi ha condizionato. Per il resto mi sono sentito piuttosto bene, in fuga mi sono divertito a chiacchierare con Sagan. Che fenomeno».
In effetti, Sagan, maglia verde, è il fiero prezzemolo di questo Tour. Per la quinta volta consecutiva porta la maglia verde a Parigi. Vince due tappe. Fino a ieri s’era impegnato per aiutare Majka a vincere la classifica degli scalatori. Fatto. Per non annoiarsi, ieri ha creato la solita fuga (una trentina, con Nibali, i fuggitivi). Obiettivo: aiutare Kreuziger a rientrare nei primi dieci della classifica. Fatto. Più uomo-squadra di così, non si può.
Ora, spazio a Chris Froome, finissimo psicologo. Risponde in francese, regala una maglia gialla autografata a Gérard Holtz, conduttore tv di una sorta di Processo alla tappa, al suo ultimo Tour (come Bernard Hinault). Sul traguardo Froome era arrivato lanciando un “Uff” di sollievo e poi sorridendo. Dice che dei tre Tour vinti il primo resta il più bello, ma delle tappe la preferita è quella di Bagnères- de-Luchon. «Mi ha fatto tornare bambino. Lo spirito del ciclismo dovrebbe essere questo: l’improvvisazione. Se rivedo il bene e il male di questo Tour, penso anche al finale di Montpellier, addirittura ho cercato di fare la volata con Sagan, per dire quanto mi sentivo coinvolto. Quando ho attaccato in discesa, ero convinto che 15 o 20” secondi in più o in meno potevano significare vincere o perde il Tour. Per molti giorni la classifica è stata cortissima, solo uno squadrone come il nostro poteva controllarla. Mi spiace per Contador, sono contento per Bardet, il ciclismo ha bisogno di ragazzi come lui».
E Quintana? «Nei due Tour che ho vinto mi aveva impegnato molto di più. Quest’anno non era al massimo, non so i motivi ma solo che l’anno prossimo sarà un avversario da temere». Pensa di potersi permettere un’accoppiata Giro-Tour o Tour-Vuelta? «Vuelta sì, anche quest’anno. Giro-Tour è un’accoppiata più difficile, quasi impossibile. Si tratta di scegliere. Io penso che per i prossimi 4/5 anni mi vedrete al Tour. Perché è la corsa più bella, quest’anno c’è stata un’atmosfera più amichevole intorno alla corsa. O forse sono io che mi sto abituando alla vita in giallo e magari mi concedo più degli anni scorsi. Quando molte cose del cerimoniale, interviste comprese, mi pesavano».
Froome ha vinto bene, inventandosi un altro modo di correre, massacrando meno sulle salite, vai a sapere se per scelta o per necessità. La Sky lo ha assecondato e protetto al massimo. La voglia di attaccarlo era minima, ma questo accade in un ciclismo sempre più da contabili. E se è normale ascoltare da Romain Bardet l’elogio delle vittorie all’antica, fa un certo effetto che Froome, corridore della squadra più organizzata che mai si sia vista, si lanci in un elogio dell’improvvisazione. È un soggetto su cui discutere, al termine di un Tour che grande non è stato, ma non per colpa di Froome.