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 2016  luglio 22 Venerdì calendario

Parigi guarda a Israele e mette da parte liberté, égalité e fraternité. La Francia cambia, per non morire più

 I fatti hanno la testa dura e alla lunga prevalgono sulle opinioni che negano l’evidenza. Così, dopo qualche centinaio di morti, l’idea che il terrorismo abbia reso le nostre vite a rischio come quelle degli israeliani, e che dunque dovremmo modellare il nostro stile di vita sul loro, comincia a farsi strada tra le ingenuità e l’arteriosclerosi del vecchio continente. Meno privacy e meno attenzione alle libertà civili in cambio di maggiori possibilità di sopravvivenza non è più considerato un baratto scandaloso. L’Italia si concede ancora il lusso di guardare cosa fanno gli altri, ma la Francia non può permetterselo. Tra le proteste delle associazioni per i diritti civili, a Parigi ieri il parlamento ha approvato l’estensione dello stato d’emergenza sino al 2017: altri sei mesi, poi si vedrà. Doveva essere un provvedimento estremo ed eccezionale adottato per soli tre mesi dopo gli attentati di novembre. A febbraio era stato rinnovato per novanta giorni e al termine di questi per altri due mesi, con l’ottimo pretesto dei campionati europei di calcio. La fine era prevista tra pochi giorni, il 26 luglio, stavolta sul serio. Il presidente François Hollande ne aveva fatto una questione di orgoglio nazionale: «Non possiamo estendere indefinitamente lo stato di emergenza. Vorrebbe dire che non siamo più una Repubblica che applica lo stato di diritto» aveva detto durante il suo intervento nell’anniversario della presa della Bastiglia. Poche ore dopo, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, islamico tunisino con passaporto francese, irrompeva col suo camion sul lungomare di Nizza uccidendo 84 persone e spiegando a una Francia e a un’Europa riluttanti a capirlo che il nostro mondo è cambiato e che i barbari non sono alle porte, ma li abbiamo già dentro casa. Come a Gerusalemme e a Tel Aviv. Così liberté, égalité e fraternité sono state messe ufficialmente da parte. I valori fondanti della République sono diventati un optional, in questa fase conta solo l’essenziale e l’essenziale per i francesi è sopravvivere e per Hollande e il premier, Manuel Valls, è arrivare alle elezioni presidenziali del 2017 con qualche possibilità di vittoria. Lo stato di emergenza autorizza il governo francese a sospendere l’applicazione di una parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le forze dell’ordine potranno adottare misure restrittive nei confronti di persone ritenute «pericolose», anche se non hanno commesso un reato, e potranno eseguire perquisizioni nelle case di chiunque in qualunque ora. I prefetti avranno la facoltà di dichiarare il coprifuoco, fermare la libera circolazione, chiudere locali e vietare ogni manifestazione pubblica. A un passo dallo stato di guxqerra: la Francia cambia, per non morire.
Si guarda a Israele anche per le tecnologie con cui contrastare il terrorismo. L’attentatore di Nizza, l’aspirante macellaio che era salito sul treno tedesco armato di accetta e coltello e i loro correligionari che hanno insanguinato l’Europa e gli Stati Uniti negli ultimi mesi appartengono alla categoria dei lupi più o meno solitari, privi di legami con cellule strutturate del terrorismo. Individui semi-emarginati che non appaiono radicalizzati al punto da destare sospetti nelle forze dell’ordine e che trovano nella umma, la comunità musulmana, la risposta a un bisogno d’appartenenza, e nell’Isis l’ispirazione che li spinge a volerci morti. Potenzialmente sono moltissimi e le loro tracce sono più difficili da seguire rispetto a quelle di chi ha compiuto tutte le tappe del percorso jihadista. Controllare ognuno di loro è impossibile.
Per il nostro continente rappresentano un pericolo nuovo, ma per Israele no. Per questo le agenzie di intelligence europee stanno studiando con interesse le soluzioni – poco rispettose della privacy, ma molto efficaci – adottate nell’unica democrazia del Medio Oriente. Se seguire uno per uno i milioni di potenziali lupi solitari non è fattibile, ci si può facilitare il lavoro con gli algoritmi, ed è qui che i software e gli hardware israeliani si rivelano utili. Si tratta di controllare l’attività dei social network alla ricerca dei segnali che possono fare scattare un primo allarme. Spionaggio automatizzato su vastissima scala, in altre parole. Gli ufficiali israeliani, racconta il quotidiano Jerusalem Post, non rivelano fino a che punto è arrivata questa tecnologia, ma gli esperti privati assicurano che essa è già in grado di fornire una indicazione dei potenziali aggressori, alla quale devono seguire indagini specifiche.
Il coordinatore antiterrorismo della Ue, Gilles de Kerchove, nei giorni scorsi è andato a Tel Aviv proprio per capire cosa l’Europa può copiare da Israele. Il problema, ha ammesso lo 007 di Bruxelles durante una conferenza, è che le norme europee sulla privacy e gli altri diritti civili rendono difficile l’uso di simili tecnologie intrusive. Ostacolo che non esiste in Israele, dove il principio secondo il quale bisogna rinunciare a una quota di certe libertà per aumentare la propria sicurezza è condiviso dalla stragrande maggioranza della popolazione. Ma altre strade per una lotta efficace al terrorismo non se ne vedono. Con molta fatica, lo si sta cominciando a capire anche in Europa. La speranza è che non servano altri morti per convincere chi si ostina a non vedere.