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 2016  luglio 22 Venerdì calendario

Esiste o non esiste un Islam moderato?

Esiste o non esiste un Islam moderato?
Pietro Volpi
pietrovolpi@virgilio.it

Caro Volpi,
Il tema è gia stato affrontato su questa pagina, ma si presta a nuove considerazioni. «Moderato» è una espressione vaga e generica che sarebbe stato preferibile non utilizzare. Dovremmo piuttosto chiederci con quali sentimenti e con quale stile i musulmani praticano la loro fede religiosa. Scopriremmo allora, probabilmente, che le distinzioni non sono molto diverse da quelle che caratterizzano i fedeli delle altre grandi religioni monoteiste. Vi sono anzitutto gli scrupolosi osservanti dei precetti che sarebbero iscritti nel Corano. Ho usato il condizionale perché il Corano si presta a letture diverse ed è stato spesso usato da predicatori intransigenti come Muhammad Ibn Al Wahab (l’antenato spirituale del regno saudita) per diffonderne una versione radicale e intollerante.
Vi sono poi i «modernisti» che vorrebbero adattare i precetti della fede alle nuove condizioni di un mondo molto diverso da quello in cui visse Maometto. Nel cristianesimo il fenomeno nasce in Francia verso la fine del XIX secolo e fu fortemente avversato da Pio X, ma riconosciuto, sia pure tacitamente, dal Concilio Vaticano II.
Vi sono quelli per cui l’Islam è soprattutto identitario, vale a dire fondato su quell’intreccio di costumi, abitudini e tradizioni che consentono a una persona di sentirsi membro di una comunità antica e destinata a sopravvivere nel tempo. Quando è identitaria la fede può facilmente diventare sinonimo di patriottismo o nazionalismo. Abbiamo visto questo fenomeno anche nei rapporti fra culti cristiani, come in Irlanda del Nord, o nei rapporti fra cristiani e musulmani, come in Libano durante la guerra civile e in Bosnia durante le guerre balcaniche. Ma l’Islam identitario può anche favorire l’integrazione degli immigrati musulmani nelle società occidentali. Le statistiche italiane, per esempio, ci segnalano che esiste una considerevole differenza fra il numero dei musulmani che vanno in moschea il venerdì e quello di coloro, molto più numerosi, che osservano il Ramadan.
Vi sono infine, caro Volpi, quelli a cui la fede offre l’alibi che consente di nobilitare pulsioni omicide e istinti bellicosi. È il caso, tra gli altri, di Mohamed Lahouaiej Bouhlel, il diabolico «camionista» di Nizza: un musulmano che violava sistematicamente i precetti della sua religione, ma si serviva del jihadismo per dare una parvenza di legittimità alla sua violenza.
Il problema oggi, naturalmente, è la dimensione del fenomeno. Dobbiamo cercare di comprendere perché la violenza nel mondo arabo-musulmano sia andata progressivamente crescendo durante le ultime generazioni. Ma credo che in questo caso la storia, la politica, l’economia e la sociologia ci siano più utili della religione.