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 2016  luglio 22 Venerdì calendario

Putin, Erdogan, Kim e gli altri amici di Trump

E se i russi invadono l’Estonia o la Lituania, membri della Nato, l’America del presidente Trump interverrà in loro difesa come prevedono i trattati? «Dipende» replica secco all’intervistatore del New York Times il candidato repubblicano: «Prima bisogna vedere se questi Paesi hanno rispettato gli impegni presi con noi. Se lo hanno fatto, la risposta è sì».
Come dire che l’articolo 5 della Carta atlantica che garantisce la mutua difesa dei partner in caso di attacco dall’esterno, il deterrente che ha fin qui frenato le minacce, a partire dalle tentazioni neo-imperiali di Mosca, non vale più o, comunque, non verrà applicato in modo automatico. Mentre i «tank» avanzeranno (l’Estonia può essere occupata in poche ore) i contabili di Washington controlleranno se il Paese che chiede aiuto ha pagato abbastanza per la sua difesa. E magari valuteranno anche se con le sue merci è stato troppo aggressivo sul mercato americano.
Perché in vari interventi sul rapporto militare con gli alleati, Trump ha detto proprio questo: «Spendiamo una fortuna per sparpagliare i nostri soldati nel mondo e poi perdiamo 800 miliardi di dollari. Non mi pare una cosa intelligente da parte nostra». Quella cifra non è il costo del dispiegamento delle forze militari Usa. Sembra riferirsi, piuttosto, al deficit commerciale Usa negli scambi col resto del mondo (questo numero è più basso, circa 500 miliardi, ma con Trump è sempre tutto vago e «in movimento»).
Più che le cifre, però, qui conta la logica: la Nato non è più un buon affare per gli Usa. E Trump, che ha descritto la sua filosofia in un libro intitolato The Art of the Deal, filtra tutto, anche la politica estera della superpotenza, attraverso il prisma degli affari. Basati su trattative che devono produrre un vantaggio economico per l’America prima ancora che un risultato politico.
Viste in questa chiave diventano più comprensibili tante affermazioni mozzafiato del miliardario che aspira alla presidenza: sulle crisi internazionali e anche sui dittatori per i quali ha espresso considerazione e, in qualche caso, simpatia. Trump, ad esempio, non è molto interessato al rispetto dei trattati di non proliferazione nucleare e pensa che un Giappone armato con l’atomica non sarebbe una cosa negativa per gli Stati Uniti, qualora questo alleato asiatico fosse minacciato.
«The Donald» non si è nemmeno espresso contro una Sud Corea e perfino un’Arabia Saudita nucleare, mentre continua a parlare di ritiro dei soldati Usa dalle aree calde del pianeta: «Costano troppo, li manderemo quando serve, ci sono altri strumenti di difesa». E gli alleati devono fare di più da soli. Così ai Paesi dell’Estremo Oriente minacciati dall’espansionismo cinese arriva un messaggio speculare rispetto a quello inviato ai Paesi della Nato: non possiamo continuare a pagare per la vostra difesa mentre voi invadete i nostri mercati. Non è che Trump non ce l’abbia con Pechino: ma più che il suo espansionismo con la costruzione di isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale, a preoccupare il miliardario è l’applicazione degli accordi di «free trade» che, secondo lui, va tutta a vantaggio del gigante asiatico. E quindi la revisione dei rapporti di forza tra le due potenze deve cominciare da qui.
Dato che tutto va misurato in termini di convenienza economica, se proprio bisogna difendere qualcuno, meglio farlo con le armi nucleari piuttosto che con le fanterie e i carri armati che hanno costi imponenti.
Il Trump negoziatore abituato a guardarti negli occhi e a stabilire i rapporti di forza senza dare giudizi morali viene poi fuori quando parla dei dittatori con rispetto e, magari, simpatia. Così Vladimir Putin è un leader «colorito e di talento col quale mi troverò sicuramente bene», mentre Saddam Hussein era un cattivo di talento: feroce, «ma bravissimo ad ammazzare terroristi, il migliore». E per Erdogan che, dopo il colpo di Stato fallito, sta attuando una durissima repressione in Turchia colpendo i militari golpisti e anche le opposizioni senza troppo curarsi dei diritti umani, Trump ha solo elogi: «Fa bene a rimettere a posto le cose a modo suo: visto quello che accade negli Usa chi sono io per impartire lezioni?».
Perfino per il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, che anche lui considera pericoloso, un maniaco, Trump ha un filo di ammirazione: «Era un ragazzo, 25-26 anni, quando è morto il padre. Ha fatto fuori lo zio, messo in riga i generali, è riuscito a prevalere su tutti. Incredibile: è un tipo tosto, con lui non possiamo scherzare». E il dittatore lo ripaga invitando gli americani a votare per lui.