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 2016  luglio 01 Venerdì calendario

Le riparazioni di guerra tedesche, da Versailles a Hitler

 Immagino che lei consideri il trattato di Versailles eccessivamente ingiusto nei confronti della Germania a cui si poteva addossare come colpa la sconfitta, ma non di avere scatenato la Grande Guerra. Certamente alla decurtazione del territorio e alla perdita delle colonie non è stato messo riparo, ma almeno con il piano Young, che sostituì il piano Dawes, si è dato un taglio alle troppo esorbitanti indennità di riparazione. Potrebbe descrivere quegli accordi?
Porfirio Russo
porfirio.russo@live.it

Caro Russo,
Ancora più delle mutilazioni territoriali e della enorme somma richiesta per le riparazioni, il fattore che maggiormente contribuì a creare una Germania umiliata e revanscista fu il problema della «colpa». Sollecitati dalla Francia, gli Alleati vollero che la Germania firmasse una «confessione»: la clausola del Trattato di Versailles con cui attribuiva interamente a se stessa le responsabilità del conflitto. I negoziatori tedeschi tentarono di sottrarsi a quell’obbligo umiliante, ma gli Alleati minacciarono di denunciare l’armistizio e di riprendere le operazioni militari.
Dopo l’umiliazione morale, venne la pena materiale. La commissione incaricata di stabilire la somma delle riparazioni condannò la Germania a pagare entro trent’anni, in merce o denaro, la somma di 132 miliardi di marchi oro, che corrisponderebbero oggi a 130,69 miliardi di euro. L’economista che maggiormente criticò le clausole economiche del Trattato di pace (John Maynard Keynes) sostenne che ogni somma superiore ai due miliardi sarebbe stata irragionevole.
Privo di risorse e continuamente sollecitato dalle scadenze dei creditori, il governo tedesco non aveva altra risorsa fuor che quella di stampare denaro. L’inflazione assunse proporzioni gigantesche ed ebbe, tra l’altro, preoccupanti ricadute sull’ordine pubblico e sul tasso di criminalità nella società tedesca. Finalmente consapevoli dei rischi che la bancarotta della Germania avrebbe avuto sulla intera Europa, gli Alleati decisero finalmente di inviare a Berlino, nel gennaio 1924, una commissione di esperti presieduta da un finanziere americano, Charles G. Dawes, che avrebbe fatto più tardi una brillante carriera politica e diplomatica. La commissione non modificò il totale, ma alleggerì le somme dovute nei due anni immediatamente successivi e allungò le scadenze. Era un panno caldo, appena sufficiente a superare la fase dell’inflazione galoppante.
Qualche reale progresso fu fatto nel 1928, quando il governatore della Banca centrale tedesca dimostrò che la Germania avrebbe potuto continuare a pagare soltanto se le condizioni fossero state interamente riviste. Questo fu il compito di Owen D. Young, amministratore della General Electric e membro del Comitato Dawes. Young riuscì a diminuire la somma totale di circa 10 miliardi di marchi oro e a quasi raddoppiare il tempo dei pagamenti. La soluzione sarebbe stata efficace, forse, se non fosse stata adottata alla vigilia del martedì nero di Wall Street. Dopo la grande crisi del 1929, la Germania non poté più contare sui prestiti delle banche americane, molte industrie tedesche dovettero sospendere la produzione e il numero dei disoccupati cominciò a crescere sempre più rapidamente: 3 milioni all’inizio del 1930, 4.380.000 nel dicembre dello stesso anno, 5.615.ooo alla fine del 1931, 6 milioni alla fine del 1932. Alla parabola della disoccupazione corrisponde perfettamente quella che registra la crescita dei consensi per il partito nazional socialista nelle elezioni del 1930, del 1932 e del 1933.