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 2016  giugno 30 Giovedì calendario

Contro Erdogan

Chi è Recep Tayyp Erdogan? È vero che non guarda all’eroe nazionale Kemal Ataturk (il padre della Turchia moderna) bensì a Saddam Hussein? La risposta è chissenefrega. In Italia è sempre stato così, e se il nostro giornalismo si accorge solo ora di questo Erdogan è per ragioni abbastanza pietose. A destra, leghisti a parte, c’era Berlusconi che lo adorava e che vedeva tutto in chiave amicale-commerciale: il ventriloquo ministro degli Esteri Franco Frattini, di conseguenza, esaltava le «riforme» dei turchi con articoli sul Corriere della Sera che erano scritti, in realtà, da un collaboratore di questo giornale. E a sinistra? Loro, invece, semplicemente se ne fregavano: comunisti a parte, la linea la dettava Prodi e i giornaloni si regolavano di conseguenza; quando il Capo dello Stato Giorgio Napolitano andò per esempio in Turchia (2009) il suo viaggio fu liquidato solo come un’assenza, un generico «essere all’estero» come se fosse andato a sciare: i pochi articoli che ne davano conto titolavano su presunti riferimenti di Napolitano a riforme italiane (nonostante Stampa e Repubblica avessero mandato degli inviati ad Ankara) e al massimo filtrava la frase «l’ingresso della Turchia come stato membro è un valore aggiunto per l’Europa». Come no.
VERSO ORIENTE
Intanto l’Herald Tribune e altri giornali del mondo si occupavano del caso Turchia per davvero, si facevano qualche domanda su Erdogan, analizzavano cioè quei fatti che nessuno aveva interesse a discutere, da noi: per esempio che Ankara, di fatto, guardava sempre di più a Oriente, segnatamente all’Iran e alla Siria. Per esempio che Recep Erdogan, in fin dei conti, regnava incontrastato con un partito che si chiamava «islamico» dopo esser stato condannato e imprigionato (1998) per incitamento all’odio religioso: aveva ripreso i versi di un poeta secondo i quali «le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati». Per esempio che in fin dei conti, nonostante le procedure per l’entrata nella Ue, come da lui auspicato sin dal 2003, quest’uomo di occidentale aveva poco: diceva che uomini e donne non possono ricoprire le stesse posizioni «per natura e per indole», che l’uguaglianza non va bene, sua figlia Summeyye (erede politica) aggiungeva che il compito dell’uomo era «portare il pane a casa e mantenere la moglie e i figli» e sua moglie Emine ribadiva che le turche dovrebbero trarre «ispirazione» dagli harem «che preparavano le donne alla vita». No, non eravamo ancora alla Turchia che fa il pesce il barile sull’Isis ed esporta armi in Siria: eppure di passaggio, Erdogan, già chiudeva giornali, incarcerava giornalisti e scrittori, censurava internet, nel Paese era tornato il velo per le donne, le minoranze erano discriminate apertamente, in sostanza si stava re-islamizzando il Paese.
Chi era Erdogan? Era un mezzo sultano che si stava facendo costruire un palazzo megalomane da 800 milioni di dollari (cercatelo su internet, roba da Mille e una notte) e che però, nell’aprile 2013, fece reprimere col pugno di ferro le proteste anti-governative che c’erano in varie città turche (con morti e feriti favoriti dalla repressione della polizia) e che di fronte alle legittime lagnanze della Comunità europea, poi, disse che non gliene fregava niente. Quando pure Bruxelles riconobbe per l’ennesima volta il genocidio turco degli armeni, Erdogan rispose testualmente che «qualunque decisione presa dal Parlamento europeo mi entra da un orecchio e mi esce dall’altro». Chiaro.
L’ARTICOLO 301
Erdogan era l’uomo dell’articolo 301 del Codice Penale, che vietava genericamente di offendere l’identità turca; era lo stesso signore che il 14 aprile 2006 aveva ordinato che gli alunni turchi scrivessero un tema sulle false affermazioni di genocidio riguardanti gli armeni, e che poi indisse un concorso sul tema «la ribellione armena durante la prima guerra mondiale». Erdogan è colui che fece cambiare i nomi degli animali che facevano riferimento all’Armenia: la pecora Ovis Armeniana diventava Ovis Anatolicus, il cervo Capreolus Armenus diventava Capreolus Cuprelus. È quello che nell’aprile dell’anno scorso bloccò l’accesso a Twitter, Facebook e YouTube (più altri siti) in quanto, a suo dire, facevano propaganda al terrorismo, questo dopo aver già bloccato la diffusione online di alcune denunce di corruzione contro il governo (marzo 2014) e precisamente dopo la pubblicazione di telefonate tra Erdogan e il figlio Bilal. Nello stesso periodo aveva attaccato i social network: «Siamo determinati a non lasciare che il popolo turco venga sacrificato a YouTube e Facebook». Ma gli esempi sarebbero ben di più, visto che la Turchia è il Paese che ha presentato più richieste di rimozione di siti web in assoluto. La moderna Turchia si stava insomma occupando delle nuove libertà: di quelle vecchie si era già occupata da un pezzo. E che diceva l’Italia, intanto? Noi, cioè il premier Monti, auspicavamo pubblicamente l’ingresso turco nella Ue, punto e basta. Questo nel 2012. Oggi, nel 2016, registriamo una quarantina di morti per un ordinario attentato in un ordinario paese islamico.