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 2016  giugno 30 Giovedì calendario

Ci sono novità nel caso di Emanuela Orlandi

Intercettazioni telefoniche di un autorevolissimo monsignore parlano di «soldi sporchi» della banca del Vaticano denominata Istituto per le Opere di Religione, meglio nota come Ior.
Il monsignore in questione è il vescovo Francesco Salerno, 88 anni magnificamente portati, docente di giurisprudenza, appartamento prestigioso nella sede del Vicariato, in pensione dal 2003 dopo 40 anni di carriera in Vaticano, comprese responsabilità al massimo livello giuridico e di controllo delle finanze della Santa Sede.
Le sue affermazioni emergono dalle oltre 22 mila pagine di atti giudiziari, suddivisi in 833 cartelle, dell’ennesima inchiesta sulla scomparsa avvenuta il 22 giugno 1983 della bella ragazzina vaticana Emanuela Orlandi, inchiesta iniziata nel 2008 e archiviata dalla Cassazione lo scorso 5 maggio. Mistero potenzialmente esplosivo nel mistero Orlandi, stando alle affermazioni del prelato a maneggiare i «soldi sporchi» era anche il fratello di Emanuela, Pietro, ufficialmente assunto allo Ior solo un anno dopo la scomparsa della ragazza. Ma andiamo per ordine.
Che lo Ior possa essere sospettabile di riciclaggio è cosa nota da tempo. Tant’è che Moneyval, l’organo del Consiglio d’Europa preposto al contrasto del riciclaggio e al finanziamento al terrorismo, non ha ancora accolto la richiesta dello Ior di entrare nella sua «white list», vale a dire nel consesso degli istituti più trasparenti e quindi affidabili.
Lo scorso 8 dicembre, Moneyval ha accolto positivamente il secondo report dello Ior, che specificava le misure prese su suggerimento dello stesso organo europeo, ma ha tuttavia precisato che è necessario «produrre dei risultati concreti in termini di azioni penali, condanne e confisca» dei capitali sporchi. Circa 4.800 conti sono stati chiusi. Dopo l’ultima relazione di Moneyval il numero di segnalazioni concernenti attività sospette è aumentato significativamente, 329 segnalazioni tra gennaio e settembre 2015, sono state avviate 29 inchieste per riciclaggio e sono stati congelati 11 milioni di euro. Ma Moneyval non vuole che tutto finisca a tarallucci e vino. I discorsi di Salerno sui «soldi sporchi» si trovano puntualmente registrati e riassunti nelle 47 pagine della cartella n. 4039327.
Come sempre accade, gli addetti alle intercettazioni hanno inviato ai magistrati un sunto, detto brogliaccio, di tutte le conversazioni da loro registrate.
In quello del 26 maggio 2012, riguardante una telefonata del vescovo con sua cugina Chiara, si legge: «Salerno, all’interno di un discorso sul Vaticano come paradiso fiscale di gente che porta i quattrini, dice «come nella storia di quella ragazza, adesso è venuto fuori un particolare che non è stato scritto, però io l’ho sentito dalla bocca del fratello. Perché lui era stato messo allo Ior, lui per avvallare la tesi che è stata fatta per quattrini questa roba [cioè il rapimento di Emanuela] dice che lui portava dentro i giornali i quattrini sporchi».
Il 31 di quello stesso giugno, nel brogliaccio con il sunto di quanto monsignor Salerno ha detto per telefono alla sua vecchia amica avvocato Licia Civetta entrano in ballo anche i bancomat. Infatti si legge: «Poi lui [Salerno] chiese a Pietro che mansione avesse allo Ior, ricevendo risposta che era incaricato di portare ai bancomat dello Ior e che portava i soldi sporchi ai giornali». Quali giornali, non si sa.
Da notare che nel gennaio 2013, quando Pietro Orlandi a soli 54 anni era stranamente già in pensione, la Banca d’Italia a causa di un’operazione da 40 milioni di euro, impose al Vaticano anche lo stop proprio all’uso dei bancomat, oltre che dei pagamenti con carta di credito.
Il sospetto di Pietro che Emanuela sia sparita «per quattrini» è però strano, perché almeno ufficialmente lui ha cominciato a lavorare allo Ior solo un anno dopo la scomparsa di Emanuela e non prima. Pietro, in ipotesi, potrebbe avere iniziato a collaborare allo Ior prima della scomparsa di Emanuela, senza essere ancora assunto, per poi essere messo in regola solo dopo. Oppure Pietro svolgendo il tipo di lavoro confidato a monsignor Salerno potrebbe avere dedotto che i soldi sporchi c’erano anche prima del suo arrivo allo Ior e che quindi Emanuela potrebbe essere stata fatta sparire per quei traffici.
Da quando lo Ior lo ha messo in pensione molto anticipata – il motivo non è noto – Pietro è sempre stato pronto a parlare della scomparsa di Emanuela in una marea di interviste, dichiarazioni, accuse contro tutti, specie contro il Vaticano, lo stesso Ior e la magistratura italiana, ed è stato molto spesso presente in tv.
Delle sue apparizioni a «Chi l’ha visto?», tuttora frequenti, s’è perso il conto. Eppure Pietro di quei traffici coi «soldi sporchi» non ha mai fatto cenno a nessuno, né con i giornalisti né tanto meno con i magistrati. Così come non ha mai voluto spiegare il senso di una frase che figura nel libro «L’affaire Emanuela Orlandi», scritto dalla fotografa Roberta Hidalgo, che una ventina d’anni fa gli aveva piazzato una «cimice» in casa per intercettarne le conversazioni.
Nel libro, che gli Orlandi hanno tentato inutilmente di far sequestrare, si legge che a un certo punto Pietro lo si sente dire a non si sa chi né perché: «50 miliardi di lire in ufficio li posso procurare».
A pagina 38 e a pagina 46 delle intercettazioni sulla linea di don Salerno si legge che Pietro su certe faccende è tanto prudente da non parlarne al telefono. A pagina 38 è scritto che il 13 giugno 2012 chiede un incontro al prelato per argomenti dei quali «non mi andava di parlare al telefono».
A pagina 46, nel brogliaccio di una telefonata del 20 giugno dello stesso anno, figura scritto che mentre il prelato gli sta parlando «Pietro lo interrompe dicendo che ne parleranno a voce perché con il suo telefono ha sempre paura (di essere intercettato)». Quali altri misteri nasconde il mistero Orlandi?