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 2016  giugno 30 Giovedì calendario

In Venezuela il governo vuole chiudere il Parlamento

Il cielo sopra Caracas è addensato di nubi, referendum revocatorio sì, referendum revocatorio no. Molta incertezza nella politica, dubbi sul prosieguo dell’attività parlamentare. Certezza invece sulla difficoltà di reperire generi alimentari.
Il Venezuela in mezzo al guado. La spaccatura tra governo e opposizione si dispiega su una vicenda dolorosa, inerente la negazione dei più elementari diritti, quelli della libertà di opinione: per l’opposizione si tratta di...prigionieri politici, per il governo di...politici in prigione. Questione di prospettive.
Di sicuro la retorica rivoluzionaria di Hugo Chavez e poi di Nicolas Maduro – l’eroismo, lo sviluppo,l’eguaglianza – trascolora in una crisi economica drammatica.
Le prove tecniche di dialogo registrate nelle ultime settimane sono già sfumate. Tutto in alto mare. Il governo di Maduro sta valutando di chiedere alla Corte suprema lo scioglimento del parlamento, controllato dall’opposizione: l’entourage di Maduro «vuole raggiungere l’abolizione del Parlamento», ha spiegato ai giornalisti il portavoce della coalizione di governo, Didalco Bolivar.Troppe ingerenze parlamentari in materie di politica estera.
Per il Venezuela non si intravede alcuna exit strategy.
Nel mese di maggio ci sono state 170 manifestazioni di protesta contro la mancanza di alimenti e medicine. In giugno il bilancio pare ancora più pesante. «A onore del vero il cibo c’è – spiega Alvaro Gutierrez, piccolo commerciante di materie plastiche – ma è l’approvvigionamento che risulta complicato». Burro, farina e pasta si trovano solo a giorni alterni, presentando la carta di identità. L’ultimo numero, pari o dispari, sancisce il diritto all’acquisto. Sì o no, una cabala impietosa, per un Paese con straordinarie ricchezze naturali. Secondo uno studio della Ong,Centro de documentacion y analisis para los trabajadores, il 37% dei lavoratori resta in coda ogni giorno per reperire alimenti e farmaci di prima necessità.
Le imprese non se la passano meglio: Coca Cola ha smesso di produrre in Venezuela a causa della scarsità di zucchero. E si allunga la lista delle compagnie aeree internazionali che rinunciano a volare in Venezuela o riducono i viaggi. Alitalia ha interrotto da tempo, Latam e Lufthansa hanno dimezzato il numero di voli.
Mauro Bafile, dirige da molti anni la Voce d’Italia, un quotidiano storico, quello della comunità italiana a Caracas, e racconta con amarezza che «di tessera annonaria aveva sentito parlare da suo nonno, in tempi di guerra. In Italia, prima che milioni di italiani migrassero a Caracas dopo aver patito la fame... Ma c’è un dettaglio importante: l’Italia lo era, il Venezuela non è in guerra».
Molti osservatori ritengono che un peso rilevante, nella soluzione di questa crisi, sarà giocato dalle Forze armate. Finora fedeli a Maduro, anche se qualche defezione è già stata rilevata. Le esercitazioni civico militari del mese di maggio hanno comunque costituito uno dei momenti più critici della crisi in corso. Come se Palacio Miraflores avesse voluto mostrare i muscoli in un momento drammatico per il Paese.
Eppure a dispetto di un contesto politico così deteriorato molti investitori continuano a scommettere sul Paese. Il recupero del prezzo del petrolio – di cui il Venezuela è grande produttore – è il fattore determinante. Il Paese produce 2,37 milioni di barili al giorno, in calo rispetto ai 2,59 milioni di barili del dicembre scorso, ma non va dimenticato che possiede le maggiori riserve al mondo. Ecco perché gli analisti di Exotix Partners, società basata a Londra, scommettono sui mercati dei bond venezuelani che potrebbero dare soddisfazione agli investitori.
John Baur, un gestore di Eaton Vance’s Global macro Absolute Return Fund, sostiene che «i prezzi dei titoli venezuelani sono talmente bassi da prevedere un recupero inevitabile». Anche Jan Dehn, analista della società Ashmore, ritiene che il quadro venezuelano sia talmente disastroso da prevedere un recupero e un guadagno finanziario. E quindi valga la pena scommettere sul Paese.
L’inflazione è al 700% e la moneta, il bolivar, è ridotto a carta straccia: 10 bolivares per 1 dollaro al cambio ufficiale, ma in realtà ce ne vogliono 1000 di bolivares per comperare un biglietto verde. Tutto ciò, ai traders di commodities, in particolare di greggio, interessa poco, anzi nulla. Intanto il Venezuela dei venezuelani affonda. È la maledizione delle materie prime, bellezza!