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 2016  giugno 30 Giovedì calendario

In realtà c’è una via molto stretta tra le regole europee per aiutare le banche

Si può fare. Se necessario, c’è un percorso stretto fra le pieghe delle regole europee per consolidare le banche in difficoltà usando il denaro pubblico senza che le ferree norme sugli aiuti di Stato ci si mettano di mezzo. Troppe sofferenze? Il governo ha facoltà d’intervenire, anche se non c’è bancarotta. Aiuta l’articolo 32.4 della direttiva Brrd, la norma che ha riformato le risoluzioni creditizie dopo la crisi scoppiata nel 2008, ponendo fine ai salvataggi coi soldi dei contribuenti (bail-out) e aprendo la stagione della piena responsabilità di azionisti e investitori (bail-in).
I Ventotto non volevano che i cittadini pagassero per le malefatte di pochi, però hanno disegnato un’uscita di emergenza con la formula della «ricapitalizzazione preventiva». Può succedere che una banca, per quanto ancora lontana dalla terra bruciata dell’insolvenza, si ritrovi con una situazione patrimoniale manifestamente incompatibile con la tenuta in caso di choc esterni, colpa della sottocapitalizzazione o delle eccessive esposizioni incagliate.
Se c’è il male, lo si certifica con uno stress test, una prova di sforzo patrimoniale chiesta e realizzata dalla vigilanza nazionale, normalmente in collaborazione con l’Eba, l’agenzia bancaria Ue. In questo caso, la Brrd dice che un governo può intervenire a titolo preventivo di tasca propria, per evitare il peggio e per scongiurare un crac. A patto che la cura ricostituente rispetti l’impianto regolamentare sugli aiuti di Stato varato nell’agosto 2013.
I principi sono in questo caso tre. Il primo recita che la ricapitalizzazione deve essere decisa «banca per banca» e può essere accompagnata dalla riorganizzazione e ristrutturazione dell’istituto che, a fine operazione, deve uscire pulito come se fosse nuovo, dunque con la prospettiva che precluda ulteriori interventi.
Il secondo requisito è che l’ammontare dell’esborso pubblico sia minimo. La regola impone alla Commissione di assicurarsi che prima del «Pubblico» paghino gli azionisti e i detentori di strumenti subordinati: si va sul mercato o si effettuato delle cessioni per chi detiene la società; si trasformano in bond in capitale, per gli altri. È prevista un’eccezione alla condivisione degli oneri qualora essi generassero un «esito sproporzionato» (danni agli azionisti o ai mercati) o se si minaccia la stabilità dell’istituto.
Nel caso della Banca del Pireo e della Banca nazionale greca, il primo per il quale si è applicata questa formula, i privati hanno partecipato al nuovo capitale con 5,4 miliardi e il governo Tsipras ne ha messi 4,4. Questo conferma il terzo criterio: in nessun caso il cliente ordinario può essere scotennato.
L’Italia potrebbe giocare? Si, come tutti, in caso di bisogno. Sarebbe un’operazione diversa da quella delle «Quattro banche» perché qui saremmo ancora in condizione di solvibilità. Nessuno a Bruxelles conferma che ce ne sia davvero bisogno in questo momento. Le fonti parlano di contatti ordinari con Roma. Ricordano che c’è Atlante e che quello può essere il riferimento. Dicono che è normale che se ne parli di questi tempi. Sulla possibilità di un’azione si sentono solo rumori. Tutti fuori dalle istituzioni, almeno per ora.